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Fondi pensione, ecco come aderire e massimizzare il proprio assegno pensionistico

Le simulazioni dell'Osservatorio Italian Welfare

Stefano Castrignanò, direttore dell’osservatorio Italian Welfare.
Stefano Castrignanò, direttore dell’osservatorio Italian Welfare.
27 marzo 2025 | 17.01
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Un lavoratore iscritto a un fondo di previdenza, al quale versa il tfr e un proprio contributo, può accumulare, grazie al versamento aggiuntivo del datore di lavoro (per ipotesi pari al 2% della Ral, retribuzione annua lorda), una somma significativamente più elevata nel corso della carriera. E' quanto emerge dall'analisi condotta dall’Osservatorio Italian Welfare.

Se il lavoratore invece non sceglie di aderire anche con la propria quota a un fondo pensione, perde il contributo aziendale. Parliamo di una somma che può variare da 34 mila a 54 mila euro, tra i contributi che l’azienda metterebbe di tasca propria e i relativi rendimenti.

L’Osservatorio Italian Welfare, nella sua ultima analisi, ha infatti evidenziato come la semplice adesione con il solo conferimento del Tfr non sia sufficiente per massimizzare il proprio assegno pensionistico. Se il lavoratore non sceglie di contribuire anche con una propria quota – parliamo di una media di circa 450 euro l’anno, peraltro totalmente deducibili – perde automaticamente il contributo datoriale aggiuntivo, una risorsa che potrebbe rivelarsi essenziale per garantire un’integrazione adeguata alla pensione pubblica.

Negli ultimi mesi si parla sempre più spesso dell’importanza di aderire a un fondo pensione (le stime ci dicono che le pensioni Inps nei prossimi anni avranno un peso di circa il 40% in meno rispetto all’ultima retribuzione), ma raramente si pone l’attenzione sulla modalità con cui farlo. Questo aspetto, spesso trascurato, può fare la differenza tra una pensione complementare più ricca e una che non sfrutta appieno le opportunità disponibili e quindi più povera. Oggi, un lavoratore dipendente può aderire ai fondi pensione negoziali (quelli contrattati tra i datori di lavoro e i sindacati) in due modi: versando esclusivamente il proprio Tfr o aggiungendo un contributo personale volontario. Quest’ultima scelta, apparentemente marginale, è invece cruciale, poiché attiva il diritto al contributo del datore di lavoro, che altrimenti andrebbe irrimediabilmente perso.

E con una ipotesi di retribuzione annua di 35mila euro, secondo la simulazione di Italian Welfare, e con un versamento aziendale annuo (ipotesi 2% retribuzione) di 700 euro si ha un montante previdenziale finale (su 30 anni) di 34.301,87 euro. Con un'ipotesi di retribuzione annua invece di 45.000 euro e un versamento aziendale annuo (ipotesi 2% retribuzione) di 900 euro si hanno 44.102,41 di montante previdenziale finale (su 30 anni).

E ancora con 55mila euro di retribuzione annua e 1.100 euro di versamento aziendale annuo si hanno 53.902,95 euro di montante previdenziale finale (su 30 anni). I dati sono frutto appunto di un'elaborazione dell'osservatorio Italian Welfare, con ipotesi di contribuzione del datore di lavoro al 2% e proiezioni a 30 anni con rendimento medio annuo pari al 3%. Un beneficio, spiegano da Italian Welfare, che diventa ancora più evidente nel lungo periodo. Infatti, aderendo al Fondo con il solo Tfr, il lavoratore rinuncia a un montante significativo a causa del mancato versamento aziendale, che può diventare, a seconda della fascia di Ral ipotizzata, da un minimo di 34.000 euro a un massimo di 53.000 euro nell’arco di 30 anni di versamenti.

Un errore da non commettere. "Non aderire a un fondo pensione, o farlo limitandosi al solo Tfr, equivale a una perdita economica concreta. Ogni giorno, migliaia di lavoratori si privano inconsapevolmente di una risorsa importante per il loro futuro. Non sfruttare le potenzialità della previdenza complementare significa rinunciare a stabilità economica e sicurezza negli anni della pensione”, sottolinea Stefano Castrignanò, direttore dell’osservatorio Italian Welfare.

"L’Osservatorio, che analizza ed elabora i dati di aziende ed enti che rappresentano milioni di lavoratori italiani, ha calcolato l’impatto del fenomeno su aziende di diverse dimensioni. Dalle elaborazioni emerge -spiega- come, nelle aziende con meno di 50 dipendenti, l’84,03% dei lavoratori non aderisce al fondo pensione ovvero aderisce limitandosi al versamento del solo tfr. Lo stesso dato scende al 53,95% nelle imprese con più di 50 dipendenti. Questa fotografia aiuta a comprendere la portata del fenomeno e la necessità di agire con misure tempestive ed efficaci, soprattutto considerando che più del 90% delle imprese italiane hanno meno di 50 dipendenti”.

E il tema diventa ancora più pressante se si considera che con l’età avanzano anche le esigenze di assistenza socio-sanitaria e personale. In un contesto in cui le pensioni pubbliche rischiano di non essere sufficienti a coprire le necessità di vita quotidiana, costruire un solido piano di previdenza complementare non è solo una scelta finanziaria intelligente, ma un atto di responsabilità verso sé stessi e la propria famiglia.

Un appello ai giovani: il tempo è il miglior alleato. In Italia, il tasso di adesione ai fondi pensione (parliamo solo di un lavoratore su tre) è ancora inferiore alla media europea, e il rischio è che molti giovani lavoratori non colgano l’importanza di iniziare a contribuire il prima possibile.

“Il tempo è la risorsa più preziosa nella costruzione della propria pensione complementare: anche piccoli contributi, grazie all’effetto cumulativo dei rendimenti nel lungo periodo, possono tradursi in somme considerevoli al termine della carriera lavorativa. Inoltre, è fondamentale diffondere la cultura previdenziale a più livelli – contrattuale, aziendale e personale – per garantire una maggiore consapevolezza e una migliore gestione del futuro pensionistico”, continua Castrignanò.

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