
L'arresto del leader dell'opposizione Imamoglu è parte della strategia del presidente turco: dividere le opposizioni a livello interno, sfruttare il momento favorevole a livello internazionale e presentarsi per un terzo mandato dopo aver modificato la Costituzione, spiega l'esperta
L’arresto del sindaco di Istanbul e leader dell’opposizione Ekrem Imamoglu rientra nella “strategia, a questo punto abbastanza calcolata, di dividere le opposizioni” da parte del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che mira a cambiare la Costituzione per poi ricandidarsi e ottenere un terzo mandato. Lo spiega all’Adnkronos Angela Ziccardi, assistente dell’ufficio di Roma dell’European Council on Foreign Relations, nel sesto giorno consecutivo di proteste nelle principali città turche.
Sullo sfondo c’è quanto accaduto con le elezioni amministrative del 2024, che hanno portato a una vittoria quasi schiacciante del partito di opposizione Chp nelle principali città turche, evidenzia Ziccardi. Temendone la concorrenza, l’obiettivo di Erdogan è dunque quello di smantellare il fronte dell’opposizione in vista delle elezioni del 2028, agendo con largo anticipo nella speranza che entro allora il pubblico non serberà rancore per la torsione autoritaria in atto.
“Sicuramente la condizione geopolitica è molto favorevole a Erdogan in questo periodo”, sottolinea l’esperta. “Mai come adesso Unione europea e Paesi europei non possono fare a meno di dialogare con la Turchia su questioni chiave, in primis quelle di difesa e sicurezza”. Il progressivo disimpegno Usa dalla dimensione europea sta portando l’Ue a rafforzarsi in chiave comunitaria, “ma anche a guardarsi intorno per possibili partnership militari”, dove Ankara, la seconda forza Nato per dimensione, non passa certo inosservata.
Tutto questo avviene a valle del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, altro elemento che gioca a favore del disegno di retrocessione autoritaria del presidente turco perché anche l’omologo Usa “sta assumendo toni poco amichevoli nei confronti dei suoi avversari politici. Di conseguenza chiuderà un occhio, se non due, rispetto all'eventuale giro di vite da parte di Erdogan e di altri ‘uomini forti’ su scala internazionale”, rileva Ziccardi.
Infine, continua, pesa anche il ruolo che Erdogan riveste nella questione siriana. Al netto del suo evidente ruolo nella deposizione di Bashar al-Assad, i rapporti “stretti e ben consolidati” che ha con Ahmed al-Shara'a, nuovo presidente ad interim, gli garantiscono una posizione di rilievo sia nel processo di transizione e ricostruzione del Paese limitrofo, sia sullo scacchiere regionale. “Per esempio, piò dialogare agilmente con gli Stati Uniti per quanto riguarda la zona cuscinetto a nord della Siria e in chiave iraniana”.
In questo contesto si inserisce Abdullah Ocalan, leader del Partito dei lavoratori curdo (Pkk), che di recente ha lanciato un appello storico al gruppo affinché deponga le armi e si dissolva, cosa che potrebbe porre fine a un conflitto con Ankara che dura da decenni. Anche questo elemento, “apparso come paradossale a molti, in realtà rientra nel piano strategico di Erdogan”. Tramite il dialogo avviato dal suo principale alleato di governo, Devlet Bahceli del Partito del movimento nazionalista, e Ocalan, il presidente “mira a ottenere il supporto del partito pro-curdo Dem per raggiungere la maggioranza qualificata di 360 su 600 deputati all'Assemblea nazionale per cambiare la Costituzione e candidarsi quindi a una nuova elezione presidenziale”, conclude l’esperta di Ecfr. (di Otto Lanzavecchia)