
"Arresto Imamoglu mossa autoritaria per ostacolare elezioni, ma esagerato pensare governo sia vicino alla fine"
L'arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, è una mossa "autoritaria" da parte del governo, che sente che "sta perdendo" ed è pronto a ricorrere ad ogni mezzo per "ostacolare" le elezioni. Ma è "troppo presto e esagerato" ritenere che le proteste degli ultimi giorni possano segnare la fine dell'era Erdogan. Lo afferma in un'intervista all'Adnkronos l'ex ambasciatore turco a Roma e a Mosca nonché ex deputato del 'Buon partito' (Iyi), Aydin Adnan Sezgin, commentando le imponenti manifestazioni convocate dall'opposizione in Turchia a seguito dell'arresto di Imamoglu, il leader del Chp - la principale forza di opposizione - ritenuto il più accreditato rivale politico di Erdogan.
Questa "grande reazione" popolare nasce dal fatto che gli arresti di Imamoglu, come dei sindaci di altre città più piccole, sono percepiti dalla grande maggioranza dei turchi come "completamente illegali" e un'azione "contro la democrazia perché queste persone sono state elette", premette Sezgin, secondo cui le accuse di corruzione mosse dalla magistratura contro il sindaco di Istanbul "non sono tangibili" e "non hanno convinto l'opinione pubblica". C'è poi, per l'ambasciatore, anche un problema procedurale: "non puoi trattenere queste persone. Un'azione legale può andare avanti anche senza arresti".
La repressione dell'opposizione (sono stati oltre mille gli arresti secondo il ministero dell'Interno), prosegue l'ex deputato, è percepita in Turchia "come un passo ulteriore verso un governo più autoritario, che è assolutamente in contraddizione con lo stato di diritto e i principi della democrazia".
Dietro le proteste, precisa Segzin, c'è anche un risentimento della "stragrande maggioranza dei cittadini" nei confronti della politica economica ed in generale delle politiche del governo in carica. C'è una "rottura totale" tra l'esecutivo e la popolazione ed Erdogan ed il suo governo "si stanno rendendo conto che stanno perdendo", afferma l'ex ambasciatore a Roma.
A completamento della sua analisi, Sezgin cita anche i problemi economici con cui gran parte dei turchi è costretta a fare i conti ed il disincanto dei giovani che - a suo parere - "hanno perso la speranza verso il futuro", con la maggior parte di loro che attribuisce questa situazione "alla mancanza di democrazia, di diritto e alla corruzione del governo".
Secondo Sezgin, sostenere che le manifestazioni di piazza degli ultimi giorni porteranno alla caduta del governo "è troppo, è esagerato, ma questi sono segnali seri e nei prossimi giorni vedremo ancora più scontri, più polarizzazione e più tensioni in Turchia". Saranno poi le urne, puntualizza, a sancire la fine dell'era Erdogan. "Attraverso le elezioni - il governo non può annullarle: non siamo né la Russia né l'Iran - il governo perderà". Nel frattempo ricorreranno a "tutti i modi antidemocratici e illegali per impedire che si svolgano, ma non ci riusciranno".
L'ambasciatore evidenzia quindi i motivi per cui le reazioni a livello internazionale alla repressione dell'opposizione in Turchia siano state finora "piuttosto deboli". Per Sezgin la prima causa è "l'effetto Trump generato in tutto il mondo" ed in seconda battuta "c'è l'importanza strategica della Turchia nell'attuale congiuntura internazionale che è aumentata" in questo contesto di crisi soprattutto per l'Europa, precisa.
Sugli scenari futuri, l'ambasciatore ritiene che non dovremo aspettarci "concessioni" da parte del governo né un calo della repressione e delle misure contro l'opposizione, ma quest'ultima "continuerà a lottare". "Il governo sta aumentando la sua pressione - conclude - D'altra parte, tutti i partiti di opposizione e anche la strada e l'opinione pubblica hanno abbastanza forza per reagire".