Battaglia (imprenditore anti-racket): "Se non ti uccide la camorra, ti uccide lo Stato"
"Questo Paese non cambierà mai. Raccontiamo le favole che tutto va bene ma qui, se non ti uccide la Camorra ti uccide lo Stato. Da due anni mi hanno tolto la scorta senza motivazione, a me, talmente stupido da denunciare e far arrestare i fratelli Zagaria e il cugino di Sandokan”. Roberto Battaglia è l’imprenditore casertano che ebbe il coraggio di dire no a chi gli chiedeva il pizzo, che accettò di iniziare una vita blindata, in costante pericolo, pronto a muoversi in giro per i tribunali a testimoniare di persona. Oggi all’Adnkronos sfoga tutta la sua rabbia, da due anni senza più alcuna forma di tutela, sebbene continui ancora a presenziare ai processi, “massacrato” dice da uno Stato che lo ha “abbandonato”.
“Il processo che vede imputato Luigi Schiavone, cugino di Sandokan, non è ancora alla fine del I grado – spiega - se non fosse stato per i miei avvocati, che con la Dda hanno contestato l'aggravante mafiosa, i reati sarebbero stati tutti prescritti: parliamo di uno che è stato arrestato in flagranza di reato nella mia azienda agricola, trovato con in tasca 150mila euro di assegni, contanti, cambiali, anche di altri imprenditori che non avevano avuto il coraggio di denunciare. I fratelli Zagaria sono stati assolti, non si capisce come, vero è che la Procura generale ha voluto fare appello in Cassazione. La mia azienda agricola, il caseificio: tutto è distrutto. I ristori non arrivano e siamo in una situazione in cui quelli che vorrebbero denunciare e guardano il mio esempio non denunciano, perché si cade dalla padella alla brace”.
Oggi, aggiunge Battaglia: “La situazione è inverosimile, ho perso le mie case in attesa di avere i ristori coi processi in corso: mia madre a 80 anni si è ritrovata senza un tetto, chi mi ridà quello che avevo? Oggi sono in affitto, mi hanno bruciato la macchina, fatto danni gravissimi alle attrezzature, all'epoca chiesi di avere un acconto sui ristori che mi spettano e sto ancora aspettando, sono 8 anni che ho fatto domanda alla Prefettura di Caserta. E non sono solo io, tanti i poveri ingenui che credono nello Stato, che hanno avuto il coraggio di denunciare, falliti perché non sono tutelati. Oggi mi dicono che sono stato un matto a denunciare, mi chiedono chi me lo abbia fatto fare. Hanno ragione. Arrivati a questo punto io non solo non rifarei mai quello che ho fatto, ma anzi invito a non denunciare, che non ne vale la pena. C'é un calo assurdo delle denunce, le associazioni anti racket non offrono supporto. Mentre i processi durano anni e anni, nel frattempo sei morto, completamente abbandonato”.
“La ciliegina sulla torta è che mi hanno tolto la scorta pur dovendo continuare a presenziare ai processi, senza alcuna protezione. Questo è l'esempio offerto a chi vorrebbe denunciare. Oggi purtroppo le emergenze sono altre – prosegue l’imprenditore casertano - l'Afghanistan, i migranti, il Covid e ogni tanto se ne escono dicendo che le mafie si infiltrano nei tessuti economici deboli. E che soluzioni offrono? Nessuna. Sono in una condizione di disastro, l'imprenditore che denuncia ha debiti anche con l'Agenzia delle Entrate e a me neanche applica la sospensiva che dovrebbe applicare per legge".
Ma non è tutto. "Per una sentenza di condanna – spiega ancora Battaglia - c'é stata una provvisionale di 25mila euro che mi spettava di diritto. Quando sono andato a richiedere il pagamento, l'Agenzia delle Entrate si è trattenuta la cifra e oggi non ho più niente, se non i debiti. Sono in un baratro. Tutto a dimostrare che non bisogna denunciare. Io sono quello che ha denunciato Zagaria e Schiavone, mi hanno messo all'asta le case, ho perso l'attività, non avendo ricevuto il giusto ristoro per rimetterla in funzione. Se mi fossi stato zitto avrei dovuto fare il sacrificio di pagare e subire ma almeno non avrei corso il rischio della vita. Come posso dire agli imprenditori che bisogna credere nello Stato se diventa sempre più assurdo andare a chiedere quello che ti spetta, nel momento in cui decidi di denunciare? Credo nella magistratura, nelle forze ordine, ma anche loro fino a un certo punto possono fare, oltre non possono più andare. Ci sono decine di casi come i miei in tutta Italia. Senza scorta, senza una tutela né una semplice vigilanza. Poi, però, ci sono giornalisti con la scorta, senza sapere quale rischio possano in realtà correre".
(di Silvia Mancinelli)