Studio Italia-Usa: "Sta emergendo un ceppo che ha perso un 'pezzo'. Rilevato in molti Paesi del mondo ma non in Italia"
Perché la letalità di Covid-19 è stata così diversa nei vari Paesi del mondo? A spiegarlo arriva un nuovo studio, firmato da Massimo Ciccozzi, responsabile dell'Unità di statistica medica ed epidemiologia molecolare dell'Università Campus Bio-Medico di Roma e Davide Zella, dell'Institute of Human Virology, all'università del Maryland. Fra gli autori anche Francesca Benedetti, Greg Snyder, Marta Giovanetti, Silvia Angeletti e il celebre scienziato Usa Robert Gallo, uno dei due scopritori del virus dell'Aids, direttore dell'Institute of Human Virology e co-fondatore del Global Virus Network. Il lavoro è stato accettato per la pubblicazione dal 'Journal of Traslational Medicine'.
"Abbiamo esaminato numerosissime sequenze di Sars-Cov-2 da un database mondiale, raccolte da dicembre 2019 a luglio. E abbiamo scoperto che sta emergendo un ceppo che ha perso un 'pezzo': abbiamo rilevato la delezione nella proteina nsp1, implicata nella patogenesi del virus. Una modifica che può averne ridotto la letalità e potrebbe spiegare il limitato numero di decessi rispetto ai contagi che sembrano evidenziarsi in certe aree geografiche", spiega Ciccozzi all'Adnkronos Salute.
L'analisi filogenetica ha rivelato che il nuovo coronavirus è simile ad altri betacoronavirus, come ad esempio Sars-CoV e Mers-CoV, ricordano gli autori. Il suo genoma ha una lunghezza di 30 kb e contiene due grandi poliproteine sovrapposte, ORF1a e ORF1ab che codificano per diverse proteine strutturali e non strutturali. La proteina non strutturale 1 (nsp1) "è probabilmente il determinante patogeno più importante, e studi precedenti su Sars-CoV indicano che è coinvolto sia nella replicazione virale, che nella prevenzione della risposta del sistema immunitario innato", afferma Davide Zella.
Precedenti esperimenti dettagliati di mutagenesi, effettuati da altri gruppi, hanno determinato che i meccanismi di azione sono mediati dalla presenza di specifici residui amminoacidici di nsp1 e dall'interazione tra la proteina e la piccola unità ribosomiale dell'ospite. In effetti, la sostituzione di alcuni aminoacidi ha comportato una riduzione dei suoi effetti negativi.
Ebbene, l'analisi di sequenze del genoma di pazienti infetti da tutto il mondo, ottenute dal database Gisaid, "ci ha permesso di identificare sequenze di genoma di Sars-CoV-2, provenienti da diversi paesi, con una delezione precedentemente sconosciuta di 9 nucleotidi (in posizione 686-694, corrispondente alla posizione AA 241-243)", spiega Francesca Benedetti. Una delezione "diffusa in diverse aree geografiche". Ma non "in modo omogeneo". "Non abbiamo rilevato la delezione in alcune aree come l'Italia, la Germania, e l'Austria, forse anche per via del ridotto numero di sequenze per le analisi". D'altra parte la delezione "è presente in Svezia, Brasile e Gran Bretagna. Mentre negli Usa è stata individuata a New York, nel New Jersey, in Connecticut e nello Utah", continua la ricercatrice.
Secondo gli autori la delezione di 3 aminoacidi di nsp1 appena scoperta "potrebbe influenzare la struttura della parte di questa proteina importante per la regolazione della replicazione virale". "I nostri dati indicano che una piccola percentuale dei virus ospita una delezione in un'importante proteina responsabile della patogenesi, possibilmente adattandosi verso una ridotta patogenicità", affermano gli autori. La cancellazione "che descriviamo indica che in Sars-CoV-2 sono in corso profondi cambiamenti genomici".
"In effetti se le mutazioni possono o meno conservarsi, una volta che si è perso un pezzo, come accade nel caso della delezione, questo pezzo non si recupera più", spiega ancora Ciccozzi, che fino ad ora ha pubblicato una ventina di lavori sul nuovo coronavirus. Ora è importante "confermare la diffusione di questo particolare ceppo virale e di ceppi con altre delezioni nella proteina nsp1 nella popolazione di soggetti asintomatici e pauci-sintomatici, e correlare questi cambiamenti in nsp1 con la ridotta patogenicità virale", concludono i ricercatori.