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Arcivescovo Siena a Salvini: "Gente muore, chiese chiuse per tutelare salute"

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05 aprile 2020 | 15.25
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di Elena Davolio

"Ai sedicenti portatori di critiche chiedo: ci crediamo che la gente muore?". L’arcivescovo di Siena, monsignor Augusto Paolo Lojudice, senza giri di parole, in una intervista all’Adnkronos, dice a Matteo Salvini, dopo l’adesione all’appello di ‘Tempi’ a riaprire le chiese a Pasqua, che si tratta di ragionamenti del tutto "insensati" davanti alla gente che continua a morire per il coronavirus.

"Non si capisce che cosa ci sia dietro questi ragionamenti - osserva Lojudice che per tanti anni è stato vescovo ausiliare di Roma -. Colgono quasi questa cosa come un attentato alla fede. Sono spinti da un motivo politico? Questa critica efferata a prescindere alla Chiesa è insensata come le critiche mosse al Papa, e quelle se esce perché esce. Certo, è difficile dialogare con queste persone guidate da una insensatezza di ragionamento".

C’è chi ha ricordato al segretario della Lega che le chiusure sono state disposte per legge per arginare il contagio da Covid-19. Non è un istigare al mancato rispetto della legge chiedere di riaprire le chiese a Pasqua? "Certo, - sottolinea il vescovo Lojudice -. Partiamo tutti dal presupposto che quello che ci dice lo Stato è vero, la gente è morta e muore sul serio, non è una fake news".

Unico appunto che l’arcivescovo di Siena muove al governo è la poca "attenzione formale" a come ci si è approcciati al tema religioso nei Dpcm: "Certo, il primo decreto secondo me ha liquidato con una parola ‘cerimonia’ il mondo e la vita di fede di milioni di persone ed è stato riduttivo. Capisco che il governo sia rimasto spiazzato e poi è sempre facile criticare dall’esterno ma c’è stata poca interlocuzione come nell’ultima lettera del ministero dell’Interno per dire che si va in chiesa per pregare solo se si esce per fare la spesa o per motivi seri. Serviva più attenzione formale".

L’invito che fa mons. Paolo Lojudice a Salvini e ai "sedicenti portatori di critiche" è a lavorare per il bene comune ancora di più oggi nell’emergenza coronavirus: "In momenti del genere si pensasse al lavoro comune, bisogna uscire dal clima distruttivo o non ci saranno grosse prospettive. Bisogna consolidarci".

Il vescovo invita poi a superare discorsi "anacronistici" di quanti, nell’emergenza coronavirus, evocano santi e Madonne ai tempi della peste : "L’essenza della fede ha una sua serietà di fondo e come tale va vissuta. E c’è da sottolineare maggiormente l’appello che Gesù fa nel Discorso alla montagna a pregare chiudendosi nella propria camera. E un appello evangelico. Siamo stati chiusi per un motivo preciso, per la tutela della vita . E poi noi persone di fede abbiamo la fortuna che il rapporto con Dio lo possiamo coltivare ovunque, anche chiusi in una cella. La fede si porta avanti lo stesso, a differenza dell’economia, la fede si coltiva ovunque, purifica, va al dunque, smonta da tante sovrastrutture".

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