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Il Fisco segue l’evoluzione della società e le innovazioni dell’Intelligenza Artificiale spingono anche il sistema tributario verso la ricerca di nuove basi imponibili, per questo si parla di robot tax
Chi pagherà le tasse nell’era delle macchine intelligenti? La risposta non è così scontata, anzi.
Già da anni si parla della possibilità di includere nuovi contribuenti nella platea di coloro che pagano i tributi e partecipano alle spese pubbliche.
E l’ipotesi di una robot tax, un’imposta pagata da robot e non solo, non è fantascientifica ma attuale ovunque nel mondo.
L’idea di tassare anche le macchine è strettamente legata alla necessità di arginare i rischi della cosiddetta disoccupazione tecnologica che potrebbe essere determinata dalla sostituzione delle persone con le macchine nei processi produttivi.
Se l’Intelligenza Artificiale può svolgere delle mansioni attualmente deputate a quella umana, gli equilibri cambiano.
Da un lato l’IA rende obsolete delle mansioni e delle professioni ma dall’altro ne crea delle nuove.
E sebbene i tempi non siano maturi per conoscere l’impatto effettivo sulle dinamiche occupazionali, in paesi come l’Italia, dove la maggior parte del gettito complessivo deriva dal reddito di lavoro, la questione dell’occupazione richiama direttamente quella fiscale.
Se l'Intelligenza Artificiale mangia una parte del Lavoro, l’effetto è duplice: servono misure di protezione sociale più potenti, ma ci sono anche meno risorse da investire per garantirle.
Da esigenze concrete, quindi, nasce il dibattito e l’attenzione sulla necessità di trovare nuove forme di tassazione e nuove basi imponibili per le società delle macchine intelligenti.
Sebbene la robot tax abbia già debuttato in paesi come Singapore, dove anche i taxi senza conducente danno il loro contributo alla spesa pubblica, la ricerca di nuove frontiere fiscali è ancora in corso. E non è semplice.
In campo, infatti, c’è anche la necessità di raggiungere un buon livello di equità su scala mondiale e quella di utilizzare la leva fiscale con una intensità capace di non ostacolare l’innovazione e al tempo stesso tutelare le persone che maggiormente saranno sostituite dalle macchine, evitando, così, un incremento delle disuguaglianze sociali.
Tutti elementi che rendono la gestazione di una eventuale robot tax sicuramente molto lunga.
In ogni caso le strade da seguire sembrano essere principalmente due: prevedere nuove imposte per le imprese che usano le tecnologie più avanzate o in alternativa trattare le macchine come lavoratrici e lavoratori in carne ed ossa, considerandoli soggetti imponibili e applicando una tassazione sulle attività svolte e sull’ipotetico compenso.
Nel primo caso si tratterebbe di riaggiustare il prelievo sui profitti che, in diverse modalità già esiste, nel secondo di mettere a punto meccanismi del tutto nuovi.
Già nel 2017 il Parlamento Europeo nelle raccomandazioni alla Commissione sulle norme di diritto civile sulla robotica si soffermava sulla relazione tra macchine intelligenti, occupazione e impatto sulla “sostenibilità finanziaria dei regimi di previdenza sociale, dei sistemi pensionistici e di indennità di disoccupazione”.
E tra gli inviti rivolti alla Commissione e agli Stati membri c’era anche quello di valutare la partecipazione dei robot al fatturato aziendale ai fini della tassazione e dei contributi previdenziali.
Nel frattempo, mentre le macchine intelligenti entrano sempre di più nei processi produttivi, le valutazioni sulla necessità di includere nella platea globale dei contribuenti nuovi soggetti, sono ancora in corso.
E, in Europa così come nel resto del mondo, la costruzione di un nuovo Fisco, anche a misura di IA, dovrà passare prima di tutto dalla definizione di un nuovo quadro giuridico capace di regolare anche la società algoritmica.