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L'Associazione nazionale Marocchinate ha scovato tra le carte dell'Archivio di Stato la relazione inviata alla Sopraintendenza il 9 novembre del 1944 dall'ispettore onorario del mandamento
Un documento inedito che spunta dagli archivi attesterebbe come a impossessarsi degli oltre 200 reperti archeologici trafugati dal museo di Sessa Aurunca durante la seconda guerra mondiale non siano stati i soldati tedeschi ma le truppe coloniali francesi, reparti marocchini tra cui i "goumiers", algerini, tunisini e senegalesi appartenenti al Corpo di spedizione francese che tra il luglio 1943 e il gennaio 1946 si resero responsabili di omicidi, stupri, saccheggi e violenze ricordati sotto il nome di "marocchinate". A ritrovare il prezioso documento è stata l'Associazione nazionale vittime delle marocchinate, il cui presidente, Emiliano Ciotti, ricercatore storico con diversi libri all'attivo sul tema, già negli scorsi anni era riuscito a rintracciare all'Archivio di Stato un documento che proverebbe il furto di ben sette quadri di Picasso compiuto sempre dalle truppe coloniali francesi nel 1944 ancora a Sessa Aurunca.
Il nuovo documento scoperto da Ciotti, contenuto in uno dei microfilm poi donati dagli americani all'Archivio di Stato, risale al 9 novembre 1944 ed è firmato dal prof. Giuseppe Tommasino, ispettore onorario del mandamento di Sessa Aurunca, e indirizzato alla Sopraintendenza alle antichità della provincia di Napoli (all'epoca Sessa era in provincia di Napoli e non di Caserta). Su richiesta della Sopraintendenza, Tommasino redige un "elenco del materiale sottratto dalle truppe di occupazione francesi (marzo-maggio 1944)" al Museo civico di Sessa, dopo un'accurata ispezione durata dal "1 novembre al 7 novembre".
"Il ritardo di circa 14 giorni alla risposta della nota N 3188 di codesta R. Sopraintendenza è stata determinata dalle necessità di eseguire preventivamente un paziente lavoro di recupero dello scarso materiale rimasto, ammassato in un angolo del locale adibito a Civico Museo e sparso nella villetta annessa - scrive Tommasino documentando lo scempio del museo - Il lavoro di sgombero, in quanto il materiale archeologico residuale era coperto da stracci, da scatole vuote da rottami di ogni genere, frantumato, in 'assi' a parte come era, richiedeva oculato e paziente lavoro di recupero. Ha importato l’ausilio di due operai messi a disposizione dal comune e di sette studenti del Liceo da me reclutati, ed è durato dal 1 novembre al 7 novembre. Tutto il materiale ricuperato è stato depositato nei vecchi locali del Civico Museo, disposto così alla meglio nelle tre stanze dell’ambiente: esso dovrà essere però di bel nuovo catalogo e riordinato".
Poi l'ispettore onorario passa ad elencare il materiale sparito in quanto "sottratto dalle truppe di occupazione francesi (marzo-maggio 1944)". Una lunga lista che contiene teste marmoree, statuette, terrecotte, bronzi, monete dell'età repubblicana e imperiale, coppe, piatti, boccali, vasi, lucerne, pugnali in ferro. Tra l'altro, documenta l'ispettore, oltre ad alcuni capitelli scomparsi, altri "frammentati e ridotti in pezzi sono stati rinvenuti tra macerie e rottami accumulati in un angolo dell’ambiente adibito a Civico Museo. Completamente frantumate le anfore di terracotta grezze esistenti così come le antefisse in terracotta. Ridotte in più pezzi la colossale base in piperino di pretto stile ionico rinvenute alcuni anni addietro durante i lavori di sterro presso la caserma dei RR.CC".
Tommasino elenca anche i "gravi danni" subiti dalle suppellettili del museo: "Sette spaziosi tavoli sui quali era disposto buona parte del materiale archeologico raccolto sono stati asportati (insieme al medagliere come si è detto). Così è stato ancora asportato un tavolo da scrivere, nel cui cassetto era custodito il pugnaletto siliceo (donato al museo dalla famiglia Capizzi di Piedimonte) pugnaletto di epoca eneolitica".