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Ustica, Amato: "Missile francese colpì Dc9, Macron chieda scusa"

L'ex premier: "Si voleva fare la pelle a Gheddafi". E aggiunge: "Presidente francese verifichi fondatezza tesi e tolga onta che pesa su Francia". Tajani: "Non commento intervista di un privato cittadino, vedrà magistratura"

Resti del Dc9 - (Foto Fotogramma)
Resti del Dc9 - (Foto Fotogramma)
02 settembre 2023 | 08.10
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Il Dc9 dell'Itavia, precipitato vicino a Ustica il 27 giugno 1980, fu abbattuto da un missile francese. "La versione più credibile è quella della responsabilità dell’aeronautica francese, con la complicità degli americani e di chi partecipò alla guerra aerea nei nostri cieli la sera di quel 27 giugno". Così l’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato, in un'intervista a 'la Repubblica', parlando della strage di Ustica. "Si voleva fare la pelle a Gheddafi, in volo su un Mig della sua aviazione. E il piano prevedeva di simulare una esercitazione della Nato, con molti aerei in azione, nel corso della quale sarebbe dovuto partire un missile contro il leader libico: l’esercitazione era una messa in scena che avrebbe permesso di spacciare l’attentato come incidente involontario", ha aggiunto.

"Gheddafi fu avvertito del pericolo e non salì sul suo aereo. E il missile sganciato contro il Mig libico finì per colpire il Dc9 dell’Itavia che si inabissò con dentro ottantuno innocenti - ha sottolineato Amato - L’ipotesi più accreditata è che quel missile sia stato lanciato da un caccia francese partito da una portaerei al largo della costa meridionale della Corsica o dalla base militare di Solenzara, quella sera molto trafficata. La Francia su questo non ha mai fatto luce".

"Mi chiedo perché un giovane presidente come Macron, anche anagraficamente estraneo alla tragedia di Ustica, non voglia togliere l’onta che pesa sulla Francia - ha detto ancora l'ex premier - E può toglierla solo in due modi: o dimostrando che questa tesi è infondata oppure, una volta verificata la sua fondatezza, porgendo le scuse più profonde all’Italia e alle famiglie delle vittime in nome del suo governo. Il protratto silenzio non mi pare una soluzione".

Amato ha ricordato che "da principio i militari si erano chiusi in un silenzio blindato, ostacolando le indagini. E quando da sottosegretario alla Presidenza ebbi un ruolo in questa vicenda, nel 1986, cominciai a ricevere a Palazzo Chigi le visite dei generali che mi volevano convincere della tesi della bomba esplosa dentro l’aeromobile. Era da tempo crollata la menzogna del 'cedimento strutturale' dell’aeromobile e bisognava sostituirla con la tesi altrettanto falsa del 'cedimento interno a causa dell’ordigno'". "Ovviamente - ha osservato - mi chiedevo perché venissero a dirmi queste falsità. Capivo che c’era una verità che andava schermata. E la nostra aeronautica era schierata in difesa della menzogna. C’era qualcosa di molto inquietante in tutto questo. Se tanti militari, tutti con incarichi ufficiali molto importanti, dicevano la stessa cosa palesemente falsa dietro doveva esserci un segreto molto più grande di loro. Un segreto che riguardava la Nato".

Amato ha affermato poi ancora che fu l'allora "presidente del Consiglio Bettino Craxi a chiedermi di occuparmi" del caso Ustica "nell’agosto del 1986. La sollecitazione era arrivata dal presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, su pressione di parlamentari e intellettuali. A quell’epoca navigavamo ancora nel buio". "Io ricordo - ha quindi sottolineato Amato - che Craxi era insofferente alle mie perplessità sulle tesi dei generali. Andavo da lui per avere sostegno sui fatti che secondo me le smentivano e lui mi diceva senza mezzi termini che dovevo evitare di rompere le scatole ai militari. Poi mi faceva fare, perché questo era il nostro rapporto. Ma non era contento".

Sul perché fosse insofferente, Amato sostiene: "Avrei saputo più tardi – ma senza averne prova - che era stato Bettino ad avvertire Gheddafi del pericolo nei cieli italiani. Non aveva certo interesse che venisse fuori una tale verità: sarebbe stato incolpato di infedeltà alla Nato e di spionaggio a favore dell’avversario. In fondo è sempre stata questa la sua parte. Amico di Gheddafi, amico di Arafat e dei palestinesi: uno statista trasgressivo in politica estera".

Tajani: "Non commento, vedrà magistratura"

“Bisognerà verificare quello che è successo; bisogna fare chiarezza, vedrà la magistratura che indagherà su quello che è successo”. In ogni caso “c’è stato un processo e non si può commentare una intervista”. Così il ministro degli Esteri e vicepremier, Antonio Tajani, a margine del Forum Ambrosetti di Cernobbio, commentando le parole di Giuliano Amato. “Questa - ribadisce Tajani - è la versione di un ex presidente del Consiglio, una persona che ha avuto grande importanza, ma che ora è un privato cittadino”. Si tratta di “una sua versione” dei fatti e “non c’è da commentare”.

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