
La voce del Vaticano si fa sentire, ma incide sempre meno sulle decisioni dei potenti. Castellani (Luiss): "Il rapporto con Meloni è migliorato. Ma servirà un dialogo con i leader sovranisti e populisti"
Il Vaticano conserva un’enorme influenza culturale e simbolica, ma non ha più il peso politico dei tempi passati. Secondo Lorenzo Castellani, ricercatore in Storia delle relazioni istituzionali alla Luiss, oggi “il Vaticano non ha più un potere politico forte nel senso classico”. Questo perché “in un mondo fatto di guerre, potenza, armi e violenza c’è una perdita di peso” della Chiesa cattolica, che si trova a muoversi in uno scenario “più hobbesiano che universalista”, mentre il cattolicesimo “è universalista per definizione”.
Il Papa non ha più la stessa forza di penetrazione politica? “C’è meno forza politica rispetto ai Papi del passato come Giovanni Paolo II, che si è trovato nel momento giusto al posto giusto, in condizioni storiche uniche per usare la religione e incidere nel mondo politico”. Le dinamiche attuali sono ben diverse: “Oggi è difficile, le guerre non si fermano né le tregue si fanno perché lo chiede il Papa, né il ruolo di mediazione è forte come un tempo”. La Chiesa ha oggi una capacità limitata di incidere sulla hard politics: “C’è un problema di mezzi e di persuasione dei fedeli. Nel mondo occidentale sono una minoranza a tradurre in azione politica il loro credo cristiano”. Un esempio di questa difficoltà è l’ambientalismo. “L'enciclica 'Laudato si'' che si schierava nella tutela dell'ambiente e nella lotta al cambiamento climatico non è stata in grado di influenzare le posizioni di Cina, Stati Uniti e ora anche dell'Europa, che sta abbandonando i principi più radicali del Green Deal”.
A livello italiano, il rapporto tra il governo Meloni e Papa Francesco non è stato semplice all’inizio. “C'’erano posizioni diverse sui migranti, sull’ambientalismo e sulle idee economiche”, osserva Castellani, sottolineando come anche “il lato cattolico di Fratelli d’Italia era conservatore, quasi di ispirazione americana”. Tuttavia, con il tempo, qualcosa è cambiato: “Il rapporto è migliorato quando hanno iniziato a incontrarsi. Ci sono stati sviluppi positivi su politiche familiari e sul rapporto con le istanze sociali”. Le divergenze, però, non sono scomparse: “Su altro è rimasta distanza: immigrazione, guerra in Ucraina... insomma, un rapporto che è migliorato grazie all’astuzia politica di entrambi e alla simpatia umana tra i due, grazie a un’azione diplomatica chirurgica”.
Lo scenario internazionale apre a nuove riflessioni in vista del prossimo conclave. “I cardinali americani tenteranno di influenzare il più possibile il conclave anche visto lo scenario globale”, afferma Castellani. Ma la composizione del collegio cardinalizio, pur con una schiacciante maggioranza scelta dal papa defunto, è più sfumata di quanto sembri. “I bergogliani restano maggioranza, anche se la divisione tra conservatori e progressisti, soprattutto per i non occidentali, non è così netta: asiatici, africani, americani creati cardinali da Bergoglio non possono essere tutti considerati 'progressisti' secondo la nostra definizione”. Il che apre la porta a molte ipotesi: “Non è detto che il nuovo Papa sia la copia di Bergoglio in termini di idee politiche. Possiamo aspettarci anche un Papa di compromesso e più conservatore”.
In ogni caso, l’elezione sarà un momento cruciale: “Un’occasione per un reset per le relazioni tra il Vaticano e il resto del mondo occidentale”, in un contesto profondamente mutato. “Dal punto di vista politico sono cambiate in modo drastico le cose dall’elezione di Bergoglio. Cosa pensano oggi gli elettori del mondo occidentale e i nuovi politici dell’ondata populista nazionalista?”, si chiede Castellani. Il prossimo Papa potrebbe quindi rappresentare “l’occasione per provare ad avere un dialogo più forte con le nuove classi politiche”. Anche qualora fosse un europeo, “avrà uno sguardo globale e universale”, e “non cambierà molto rispetto a Bergoglio” per quanto riguarda “l’attenzione verso Paesi non europei e le tradizioni e sensibilità dell’Asia, dell’Africa, dell’America”. In definitiva, “non mi aspetterei un Papa uguale a Ratzinger anche se fosse un profilo più conservatore”.
Quali sono le direttrici del pontificato di Francesco che potrebbero rimanere inalterate? “Il rapporto con la Cina che Bergoglio ha stabilito nel 2018 con l’accordo sui vescovi può continuare”. L’evangelizzazione, infatti, “resta una strategia centrale del Vaticano e va oltre l’Occidente”. E anche il dialogo interreligioso, in particolare con l’Islam, continuerà a essere un pilastro. “È stato molto forte e migliorato, e va dato atto a Bergoglio di aver fatto passi in avanti”. (di Giorgio Rutelli)