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Migranti ed economia sul tavolo dei leader europei

Consiglio Europeo straordinario convocato per la settimana prossima, il 9 e 10 febbraio

Immagine di repertorio - FOTOGRAMMA
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03 febbraio 2023 | 07.39
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La situazione economica e le migrazioni, con tutti i rispettivi addentellati e ramificazioni, saranno al centro del Consiglio Europeo straordinario convocato per settimana prossima, il 9 e 10 febbraio, in vista di quello ordinario in calendario nella terza decade di marzo. Per quanto riguarda la situazione dell'economia, il 2023, anche se gli ultimi dati Eurostat indicano che l'area euro ha evitato nel quarto trimestre una recessione, registrando un risicato +0,1% congiunturale, si profila comunque come un anno complesso, in cui dovranno essere tenute sotto controllo diverse variabili, per evitare di incappare in una recessione che per il momento è stata schivata per un soffio. 

L'Ue deve affrontare una serie di sfide determinate dall'evoluzione della situazione geopolitica, con il ritorno dell'Orso russo. Anzitutto quella energetica, accentuata dalla guerra in Ucraina, con l'inflazione che ha generato, e la conseguente necessità di accelerare sulla transizione verde, l'unica via che l'Unione, relativamente povera di materie prime, ha per rendersi un po' meno dipendente dall'esterno, in particolare dagli idrocarburi di Mosca. Strettamente collegata a questa necessità è la risposta che l'Europa deve adottare di fronte non solo ai sussidi che la Cina dà alla sua industria, ma soprattutto all'Inflation Reduction Act adottato dagli Usa l'estate scorsa. Il rischio è la deindustrializzazione, come ha sottolineato il presidente di Acea e Ceo di Renault, Luca De Meo. Dopo anni in cui l'Ue accusava Washington di non fare abbastanza per la transizione climatica, l'amministrazione Biden ha messo sul piatto 369 mld di dollari di aiuti per l'industria green americana. Una mossa che ha colto l'Ue con la guardia abbassata. L'Unione, nell'ottica dell'Italia, dovrebbe anzitutto fare un uso adeguato di Next Generation Eu, per recuperare competitività ed evitare ulteriori migrazioni della propria industria più avanzata oltreoceano.

Si è visto con la pandemia di Covid-19 che cosa comporta, per esempio, perdere la farmaceutica avanzata: i vaccini che hanno consentito di sconfiggere la malattia provocata dal Sars-CoV-2 sono tutti di provenienza anglosassone (BioNTech è tedesca, ma senza Pfizer non sarebbe mai stata in grado di produrli nella scala necessaria; inoltre, sta costruendo uno stabilimento nel Regno Unito, cosa che ha allarmato la Bild). Un altro strumento che l'Ue vuole usare è il quadro degli aiuti di Stato, che la Commissione, su pressione degli Stati più forti, vuole riformulare, rendendolo temporaneamente più flessibile. Ma la stessa Margrethe Vestager sa quali sono i rischi di una soluzione simile: i Paesi più ricchi sussidiano le proprie imprese, che finiscono per godere di vantaggi competitivi rispetto a quelle che hanno sede nei Paesi con meno spazio di manovra nel bilancio. 

Diversi Paesi Ue, o più piccoli o con vincoli di bilancio, premono perché questo 'rilassamento' delle regole abbia delle limitazioni, riservando per esempio gli allentamenti a determinati settori strategici. Su questo, si registra una inedita convergenza di posizioni, oggettiva, tra Italia e Olanda, due Paesi storicamente che si trovano spesso su posizioni diverse su molti dossier: L'Aja non è a favore di un allentamento eccessivo della disciplina Ue sugli aiuti di Stato, perché vede i rischi, essendo un Paese di media grandezza, nel vedere bilanci statali ben più grandi del suo impiegati a sussidiare i rispettivi 'campioni nazionali'. Finora, dei circa 540 mld di euro di aiuti di Stato approvati finora dalla Commissione nel contesto della crisi scatenata dalla guerra provocata dalla Russia, praticamente la metà, il 49,43% è stato erogato dalla sola Germania, il 29,92% dalla Francia, il 4,73% dall'Italia, il 4,5% dalla Danimarca, il 3,2% dalla Finlandia e l'1,8% dalla Spagna. La sproporzione è evidente, come evidenti sono i rischi che si riproponga la situazione del 2020, quando il quadro temporaneo sugli aiuti di Stato, adottato a livello Ue per consentire ai Paesi di sostenere le proprie economie, determinò una frammentazione del mercato unico.

Fu proprio quella frammentazione che portò al varo di Next Generation Eu: in particolare, fu decisiva, come spiegò a Bruxelles tempo fa Enrico Letta, la svolta di Angela Merkel, che venne convinta dai capi dell'automotive tedesco, i quali le spiegarono che senza le industrie meccaniche del Nord Italia semplicemente non avrebbero più potuto produrre automobili. Il fronte dei Paesi dubbiosi sull'allentamento delle regole Ue sugli aiuti di Stato è piuttosto ampio ed è probabile che le modifiche, per ora non formalizzate in una vera proposta legislativa ma sottoposte a consultazione degli Stati membri, avranno chiari limiti, sia temporali che settoriali. L'Italia, in un non paper, chiede che le misure siano mirate e che non portino ad una "corsa" ai sussidi, che avvantaggerebbe solo i Paesi più forti.

La presidente della Commissione Ursula von der Leyen, a Davos, ha proposto la costituzione di un fondo sovrano europeo, da finanziare o tramite emissioni di obbligazioni da parte della Commissione, con la raccolta da girare sotto forma di prestiti agli Stati, o in altro modo, tramite risorse proprie Ue. Fondo che, ha spiegato Paolo Gentiloni, non servirebbe a distribuire soldi agli Stati, ma piuttosto a finanziare progetti di interesse comune dell'Unione. Comunque venga realizzato, è un progetto che prima di un anno, un anno e mezzo difficilmente vedrà la luce. Oggi von der Leyen ha confermato che le discussioni dovrebbero andare avanti "durante l'estate" e non ha dato alcuna indicazione quantitativa. L'Italia è tutt'altro che a sfavore, ma nel frattempo cosa succede? La Commissione per ora, convintamente o meno, risponde che il veicolo intermedio è RePowerEu, ma è un fatto che la sua potenza di fuoco è limitata. Paesi come l'Italia vorrebbero, nel frattempo, nel rispetto delle regole Ue, una certa flessibilità sull'uso dei fondi del Pnrr e un'attenzione sul recupero dei fondi di coesione 2014-20 e sul ciclo 2021-27 degli stessi fondi di coesione. 

Di certo verrebbero viste con molto favore da Paesi come il nostro opzioni come una riedizione di Next Generation Eu (trasferimenti più prestiti) o di Sure (solo prestiti), mirati a finanziare la transizione energetica e a sostenere le imprese, ma i Frugali si oppongono, facendo notare che sul piatto ci sono 800 mld di euro con Next Generation Eu uno, che ancora devono essere spesi (e spesso si fatica non poco a 'mettere a terra' gli investimenti). Berlino, poi, appare tutt'altro che entusiasta: il ministro delle Finanze Christian Lindner, alle prese anche con problemi attinenti al consenso del suo partito, i Liberali, ha chiuso la porta ad una riedizione di programmi tipo Sure, avvertendo che non è il caso di aprire un dibattito simile, dato che è difficile che abbia un esito positivo. Quanto queste parole siano dettate da esigenze di politica interna e quanto rispecchino la volontà della coalizione rossoverde si vedrà, ma la Germania resta la Germania, anche con la coalizione a semaforo.  

Sul tavolo c'è anche la riforma delle regole di governance economica dell'Ue, che dovrebbe andare nel senso di accordi bilaterali tra la Commissione e gli Stati membri su percorsi individuali per la riduzione del debito, su un orizzonte quadriennale. Il dibattito non è ancora entrato nel vivo, ma nei prossimi mesi l'Eurogruppo dovrebbe occuparsene in maniera più decisa e l'Italia dovrà negoziare con attenzione, dato che le regole che si decideranno condizioneranno per molti anni a venire la politica economica del Paese. Nel non paper si sottolinea la necessità di incentivare i notevoli investimenti pubblici necessari alla transizione verde e digitale e si rilancia la necessità di  una capacità centrale di bilancio. 

I leader dovrebbero poi confrontarsi sulle migrazioni, focalizzandosi meno sull'analisi e maggiormente sui risultati. L'Italia vorrebbe anzitutto vedere assicurati i piani di collaborazione con i Paesi di origine e di transito dei migranti irregolari, con un volume di risorse adeguato, nonché un maggiore coordinamento tra gli aiuti dei singoli Stati membri e quelli dell'Ue, mettendoli a sistema. Si vorrebbe anche una politica di incentivi verso i Paesi Ue di origine e di transito dei migranti, facendo leva sui visti, sulle politiche commerciali e politiche privilegiate in materia di scambi giovanili e canali privilegiati per persone professionalmente qualificate, ottenendo in cambio collaborazione sui rimpatri e un contrasto vero ai trafficanti di esseri umani.

Il nostro Paese punta anche ad avere una maggiore europeizzazione dei rimpatri. Si vorrebbe poi un riconoscimento esplicito del fatto che le migrazioni, essendo un problema europeo, necessitano di soluzioni europee, concetto che è stato espresso in questi termini da von der Leyen nella lettera ai leader sulle migrazioni di qualche giorno fa e ribadito oggi nella miniplenaria a Bruxelles. Per quanto riguarda le operazioni di ricerca e soccorso in mare, uno degli obiettivi è inserire nelle conclusioni del Consiglio Europeo alcune espressioni rivenienti dal Consiglio Affari Interni dello scorso novembre, come la gestione ordinata e coordinata delle operazioni di ricerca e soccorso in mare. Ovviamente i Paesi che hanno richiesto il Consiglio straordinario, tra cui l'Olanda, solleveranno anche il tema dei movimenti secondari e, probabilmente, anche quello dei cosiddetti 'dublinanti', ossia i richiedenti asilo che, dopo aver chiesto asilo in un Paese Ue, si spostano in un altro. Temi che affiorano anch'essi nella lettera inviata da von der Leyen ai Paesi in vista del Consiglio e che la presidente ha citato anche oggi, parlando al Parlamento Europeo prima di partire per Kiev.

L'Italia segue la sua linea tradizionale,  come ha notato anche l'olandese Mark Rutte in una recente intervista al Corriere della Sera, e sottolinea che concentrarsi sulla dimensione esterna, che è all'origine della dimensione interna, è il miglior modo per arrivare a chiudere il patto Ue sulle migrazioni, file aperto dalla crisi migratoria del 2015, per il quale la scadenza che i Paesi Ue si sono dati è la fine della legislatura. Va quindi concluso entro febbraio-marzo 2024, perché dopo ci saranno le elezioni europee. Rispetto ai governi precedenti, quello guidato da Giorgia Meloni pone un accento minore sui ricollocamenti, che Fdi sembra vedere quasi come accessori, con una linea più attenta a prevenire le partenze dalle coste nordafricane (e qui si capisce l'interesse per una terza fase di Sophia, sulla quale il dibattito a Bruxelles c'è, ma non a livello di Consiglio Europeo, e ancora non è entrato nel vivo). Lo ha confermato oggi l'eurodeputato Carlo Fidanza, dicendo in Aula che "bisogna uscire dalla logica fallimentare della redistribuzione indistinta di rifugiati e migranti economici". 

Il tutto nella convinzione che il modo migliore per evitare i movimenti secondari è frenare quelli primari, facendo calare gli sbarchi. Un obiettivo che, a prescindere dai mezzi con cui lo si intende perseguire, è stato anche quello di tutti i governi che si sono succeduti a Roma, almeno a partire dal 2016 ad oggi. Se diminuiscono gli sbarchi, allora quelli che inevitabilmente continueranno a verificarsi saranno più gestibili. E anche i ricollocamenti, una volta che i numeri saranno calati, diventeranno meno problematici per i partner europei. 

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