L'Ue ha una politica di sicurezza comune e un'agenzia di difesa, ma non un vero esercito. La guerra Ucraina-Russia potrebbe cambiare le cose
I cittadini europei saranno arruolati come soldati in un esercito comune dell’Unione? Il tema negli ultimi anni è diventato centrale nel dibattito politico, dividendo gli animi tra chi pensa che forze armate comunitarie toglierebbero sovranità agli Stati (cavallo di battaglia della destra) e chi invece lo vede come un passo necessario. La risposta in ogni caso è no, almeno al momento. Ma la guerra che da due anni imperversa direttamente ai confini orientali dell’Europa in seguito all’invasione russa dell’Ucraina potrebbe rimescolare tutte le carte.
I Paesi Baltici, ad esempio, che sentono molto la pressione dell’ingombrante vicino, sono determinati a un’azione dura, addirittura vorrebbero arrivare allo sfaldamento della Federazione russa. E lanciano l’allarme perché Putin sta progressivamente ammassando truppe ai loro confini. La storia ci dice che a queste manovre prima o poi c’è un seguito, e anche se in questo caso potrebbe essere una mossa in funzione di pressione politica, è opinione di molti che occorra prepararsi a ogni scenario, compreso quello, che potrebbe sembrare fantascientifico, di un’invasione russa dell’Europa.
Come siamo messi allora in questo campo?
Attualmente l’Ue ha una politica di sicurezza e di difesa comune, e un’agenzia di difesa, ma non un vero e proprio esercito. Tuttavia ogni Paese membro collabora a missioni congiunte con risorse militari o a volte con esperti civili, sempre nell’ambito della cooperazione.
L’Ue ha anche stipulato partenariati e alleanze militari, il principale dei quali con la Nato. Non va dimenticato che la maggior parte dei membri di quest’ultima allo stesso tempo fanno parte dell’Unione europea, che quindi potrebbe valutare questa come strada maestra per una una difesa condivisa, anche nell’ottica di non indebolire l’Alleanza atlantica, come succederebbe nel momento in cui l’Ue dovesse avere un proprio esercito.
I primi passi del processo europeo verso una difesa comune risalgono al 2004, con la creazione della European Defence Agency (EDA), cui seguì nel 2009 la Common Security and Defence Policy (CSDP). In seguito all’invasione della Crimea da parte della Russia (2014), nel 2017 vennero creati lo European Defence Fund (EDF) e il Military Planning Conduct Capability (MPCC), e nel 2018 la Permanent Structure Cooperation (PESCO) per arrivare nel 2019 al Coordinated Annual Review on Defence (CARD).
Un progressivo infittirsi di strumenti, uffici e programmi dedicati alla sicurezza e alla difesa che secondo molti potrebbero anche essere la base per il famoso esercito europeo.
Un traguardo, ammesso che lo si voglia, certamente non facile: un esercito comune infatti significa che ogni Paese dovrebbe contribuire con delle divisioni, ma avere delle proprie truppe è storicamente una delle caratteristiche degli Stati nazionali, che ne avevano bisogno per difendersi essendo sostanzialmente ‘soli contro tutti’ o al massimo inseriti in qualche alleanza strategica (e momentanea).
Se quindi rinunciare a un’importante prerogativa statale non è facile, dall’altra parte la consapevolezza che l’unione fa la forza spinge alcuni Paesi (tra cui in primis la Francia di Macron) a volere mettere a fattore comune le proprie risorse.
Il processo comunque è ancora in svolgimento: nel 2022 il Consiglio dell’Unione europea ha approvato lo Strategic Compass, secondo cui entro il 2025 dovrà essere operativa una forza di dispiegamento di 5mila soldati per rispondere a crisi dentro e fuori l’Ue, comprese operazioni di peacekeeping. Non si tratta dunque di un corpo per la difesa comune, ma sarebbe lo stesso un passo in avanti rispetto all’attuale cooperazione.
Nel 2023 infine è stata istituita la European Defence Industrial Strategy, che dovrebbe incrementare la European Defence Technological Industrial Base (EDTIB), l’industria della difesa. Per la sua applicazione concreta, la Commissione ha varato lo European Defence Industrial Program.
Dietro tutte queste manovre c’è l’obiettivo di difendersi se attaccati, ma anche di ottenere una importante capacità di deterrenza. Manovre che man mano potrebbero portare a un esercito paneuropeo, cosa che comunque, al momento, non è sul tavolo.
Ma sicuramente un’industria condivisa nell’ambito della difesa può preludere a un (più o meno) futuro progetto in tal senso, così come, sottolineano gli esperti, a un progressivo riarmo degli Stati.
Intanto le cose continuano a muoversi. La Commissione il mese scorso ha varato un piano di rafforzamento dell’industria comune europea. Tra gli strumenti previsti:
Le cinque priorità del Consiglio dell’Unione europea
Dal canto suo due giorni fa il Consiglio dell’Unione europea ha approvato le sue conclusioni sulla sicurezza e la difesa dell’Ue, individuando cinque priorità urgenti su cui agire, perché l’Unione, in considerazione della situazione geopolitica attuale, “deve aumentare ulteriormente la sua prontezza in materia di difesa e rafforzare la sua sovranità”.
SI parte dal sostegno all’Ucraina, vittima, afferma il Consiglio stesso, di una “guerra di aggressione non provocata e ingiustificata della Russia”, con l’obiettivo della sua indipendenza, sovranità e integrità territoriale intesa secondo i confini riconosciuti a livello internazionale. L’Ue fornirà quindi il sostegno politico, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico che servirà, per tutto il tempo necessario e con l’intensità necessaria.
Il rafforzamento dell’EDTIB, migliorando l’accesso ai finanziamenti pubblici e privati in materia e rafforzando la cooperazione.
L’Ue è già attiva a livello mondiale con missioni civili e militari nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune. Tra queste, il Consiglio cita la EUNAVFOR ASPIDES (una missione diplomatico-militare di sicurezza marittima in risposta agli attacchi Houthi contro le navi nel Mar Rosso) e l’EPF, strumento europeo per la pace, che consente un’assistenza mirata in materia di sicurezza e difesa secondo le esigenze dei Paesi partner.
Gli Stati membri, afferma il Consiglio, devono contribuire ulteriormente alla piena operatività della capacità di dispiegamento rapido dell’Ue (quella da 5mila soldati, ndr) e attuare con urgenza l’impegno per la mobilità militare 2024, ovvero garantire una circolazione rapida del personale, del materiale e dei mezzi militari, anche con breve preavviso e su larga scala, all’interno e all’esterno dell’Unione.
Il Consiglio ribadisce l’importanza di “rafforzare la prevenzione, l’individuazione, la deterrenza, la resilienza e la risposta dell’Ue alle minacce ibride, informatiche e alle attività dolose rivolte all’Ue, ai suoi Stati membri e ai suoi partner”.
A tal proposito ritiene necessario sviluppare strumenti appositi in campi come la diplomazia informatica, senza dimenticare settori chiave come quello spaziale, marittimo e aereo per la sicurezza e la difesa dell’Unione. Il Consiglio inoltre chiede la rapida attuazione della comunicazione congiunta sul nesso tra clima e sicurezza.
Quinta priorità, i partenariati che l’Ue già ha stipulato sulla base di valori e interessi condivisi. Ad esempio, quello Ue-Onu per la pace e la sicurezza o quello con la Nato, “essenziale per la sicurezza e la stabilità euro-atlantiche”. L’Ue deve mantenere il suo pieno impegno a rafforzare, approfondire ed espandere ulteriormente quest’ultimo partenariato, elaborando e adottando entro la fine del 2024 “un documento di attuazione nuovo, completo e lungimirante che comprenda l’intero spettro della cooperazione Ue-Nato”.
Il Risiko quindi prosegue, ma sarà molto difficile mettere d’accordo le posizioni di tutti i Paesi europei.