Torino, 20 mag. (Adnkronos Salute) - Chi entra in carcere può contrarre più facilmente malattie come Aids, tubercolosi, epatiti, malattie sessualmente trasmissibili e altre patologie infettive. I detenuti inoltre, sono spesso soggetti all’obesità, fumano e sono costretti ad una cattiva alimentazione. Si leva da Torino il grido di allarme degli specialisti della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria (Simspe), riuniti per il XV Congresso nazionale, per dettare raccomandazioni utili a migliorare e tutelare le condizioni di salute dei detenuti italiani. "E' necessario migliorare l'assistenza alle persone detenute mediante un approccio nazionale integrato", chiosano gli esperti.
L'obiettivo del Congresso 'Dalla teoria alla pratica: protocolli operativi in ambito penitenziario', iniziato il 18 maggio e che terminerà oggi, è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica fornendo nozioni di base a medici non specialisti ed infermieri sulle principali patologie carcerarie, attraverso dei corsi precongressuali. Lo sforzo volto a fornire alla popolazione detenuta la migliore assistenza possibile - spiega la Simspe - passa dalla conoscenza delle principali problematiche di salute, all'intesa con gli operatori penitenziari, all'integrazione con la società civile. La Simspe segnala la difficoltà di ricreare modelli omogenei di assistenza data dalla frammentazione dei sistemi sanitari delle varie regioni: le leggi attuali delegano il sistema sanitario alle Asl locali, generando così sistemi organizzativi disomogenei nei 205 Istituti penitenziari italiani. Per questo motivo si stanno formando piccoli gruppi di lavoro interprofessionali per lavorare nell'ottica dell'omogeneizzazione dell'offerta assistenziale nelle carceri italiane.
"La vera emergenza delle carceri italiane è la mancanza di dati certi, che si traduce nella mancanza della possibilità di pianificare un intervento - dichiara Guido Leo, Dirigente medico di malattie infettive all’ospedale Amedeo Savoia di Torino e presidente del congresso - Quando questo compito spettava al ministero della Giustizia, i dati, seppur scientificamente non rigorosi, erano comunque disponibili fornendo una base su cui ragionare; oggi il sistema delle Asl genera frammentarietà e, conseguentemente, confusione. L’unica fonte che si occupa attivamente di una raccolta dati a livello nazionale è la Simpse, una onlus che si occupa proprio di tutelare la salute dei detenuti, elaborando studi e numeri su questo tema". (segue)