Tra le molte differenze che caratterizzano le prestazioni dei diversi sistemi sanitari regionali, quelle che riguardano il trattamento del deficit di accrescimento e altre sindromi genetiche, si traducono spesso in un serio problema di sanità pubblica. "Un problema particolarmente delicato perché i pazienti sono prevalentemente bambini e ragazzi, parliamo in prevalenza delle fasce di età più vulnerabili che necessitano di cure e attenzioni particolari e che non possono essere esposte a repentine e inaccettabili modifiche dei propri regimi terapeutici”, denuncia Cinzia Sacchetti, presidente di AFaDOC, l’Associazione Famiglie di soggetti con Deficit di Crescita ed altre patologie.
L’ormone della crescita (Gh) viene prevalentemente utilizzato come sostitutivo nei casi di deficit congenito dell’ormone ipofisario e la sua disponibilità per i pazienti è spesso condizionata dall’orientamento prescrittivo dei medici che, in alcuni casi, deve sottostare a logiche di contenimento dei costi che impongono l’improvviso e problematico passaggio da un farmaco ad un altro. Una situazione, questa, che genera tra le regioni disomogeneità assistenziali non tollerabili e sulla quale la rivista di politica sanitaria Italian Health Policy Brief (IhpbB) ha promosso la convergenza, a fianco di AFaDOC, di numerosi esponenti della comunità medico-scientifica – endocrinologi e pediatri - che ha portato alla pubblicazione di un 'Manifesto sociale' presentato oggi in una conferenza stampa online.
“E' interesse dei medici, così come di tutti gli operatori della sanità,- la sostenibilità economica del sistema, e questo è ormai un elemento acquisito anche nella pratica clinica", ha sottolineato Annamaria Colao, presidente della Società italiana di Endocrinologia (Sie). "Tuttavia l’autonomia del medico, centrata sull’appropriatezza, non deve mai essere condizionata o messa in discussione, specie in un ambito così delicato e complesso come quello del contrasto al deficit di crescita nel quale è opportuno applicare i principi della medicina di precisione che, per sua natura, deve essere personalizzata. Non è accettabile che un medico - ha proseguito la clinica - che conosce caratteristiche e profilo clinico del proprio paziente, perché magari lo ha in cura da tempo, si veda costretto a sostituire all’improvviso una terapia che ha fin qui dimostrato di funzionare”.
Nel 'Manifesto sociale' medici e pazienti chiedono infatti che si affermino logiche di politica sanitaria nelle quali agli specialisti sia riconosciuto il diritto di perseguire al massimo livello possibile l’appropriatezza nelle scelte terapeutiche. Un’appropriatezza che deriva proprio dalla loro conoscenza, dei farmaci e dei device - gli strumenti con i quali i farmaci sono somministrati – ma soprattutto dalla conoscenza dei pazienti, delle loro famiglie e delle loro specifiche condizioni di salute e di vita.
Proprio in relazione al tema degli strumenti di somministrazione di questi farmaci, che possono variare da prodotto a prodotto e il cui impiego richiede una certa dimestichezza, Mariacarolina Salerno, presidente della Società italiana di Endocrinologia pediatrica, ha rilevato che “oltre al farmaco, occorre prestare grande attenzione al device che deve essere scelto sulla base delle preferenze e dell’orientamento di chi deve utilizzarlo. Va detto poi che questi dispositivi possono avere anche un ruolo molto incentivante verso la terapia favorendo quindi l’aderenza terapeutica: occorre però tener conto della tipologia dei destinatari delle terapie - ha proseguito la clinica - cioè dei bambini o soprattutto degli adolescenti che, in alcuni casi, possono essere più evoluti ma anche di soggetti o di famiglie che hanno più confidenza con metodiche iniettive più tradizionali. È chiaro comunque che, pur nel rispetto delle logiche economiche cui i servizi sanitari sono tenuti, va tutelata la libertà prescrittiva del medico e che andrebbe fatto ogni sforzo per perseguire una sorta di 'armonia assistenziale' sul territorio”.
Nel 'Manifesto sociale' "si sottolinea che è tempo di un dialogo più costruttivo tra regioni, comunità medico-scientifica e pazienti", rivendica Teresa Petrangolini, direttrice del Patient Advocacy Lab dell’Alta Scuola di Economia e Management Sanitari dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica di Roma. "Un tempo nel quale la libertà prescrittiva del medico sia maggiormente garantita e la voce dei pazienti più ascoltata. In proposito, credo che debbano essere replicate alcune esperienze positive come quella della Regione Lazio dove spesso le associazioni dei pazienti hanno potuto far sentire la propria voce in sede di impostazione di alcune gare di acquisto”.