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Farmaci: in India o Egitto per super-cure epatite C, crescono viaggi speranza

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16 febbraio 2016 | 17.08
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Sono disposti a viaggi in India o in Egitto pur di procurarsi un farmaco in grado di farli guarire dall'epatite C. Il fenomeno dei malati 'a caccia' di molecole anti-Hcv all'estero è in aumento anche in Italia, dove da poco più di un anno sono disponibili nuove terapie che promettono tassi di guarigione del 95%. Tuttavia, a causa degli altissimi costi di questi 'super-farmaci', l'Agenzia italiana del farmaco ha stabilito che abbiano priorità di cura i pazienti più gravi e urgenti, che di solito sono anche quelli con l'età media più alta. In alcuni Paesi del mondo le case farmaceutiche distribuiscono le molecole salvavita a prezzi calmierati. E proprio a queste nazioni, secondo esperti e associazioni, stanno guardando con interesse crescente i malati italiani.

"Chi si procura il farmaco all'estero ha un profilo ben preciso: tra i 40 e i 50 anni, di solito uomo. Una persona ancora giovane che ha voglia di guarire subito perché vuole scrollarsi di dosso una malattia infettiva trasmissibile", spiega Ivan Gardini, presidente dell'associazione EpaC Onlus, oggi a Milano durante un incontro sull'epatite C. La natura di questi 'viaggi della speranza' varia da caso a caso, ma la maggior parte ricorre a "cosiddetti farmaci generici, frutto di accordi tra le multinazionali del farmaco e le aziende locali dove le prime trasferiscono alle seconde il know how di produzione".

"In questo caso dovrebbe trattarsi di farmaci con lo stesso principio attivo di quelli 'griffati' commercializzati in Occidente", precisa Gardini all'AdnKronos Salute. Tuttavia, avverte Massimo Colombo, direttore del Dipartimento di medicina specialistica e dei trapianti d'organo del Policlinico-università degli Studi di Milano, "si tratta di farmaci non validati dall'agenzia Ue Ema per l'uso su territorio europeo e la comunità scientifica non ha nessuna pubblicazione che testimoni l'equivalenza, l'efficacia e soprattutto la sicurezza di questi farmaci". Questo senza contare l'importazione illegale, fa notare lo specialista, che mette anche il medico in una situazione delicata.

"Come associazione - testimonia Gardini - assistiamo a situazioni diverse: ci sono alcuni specialisti che accettano di seguire i pazienti" che si sono procurati un farmaco all'estero "a fronte di documenti scritti che attestino la completa responsabilità del malato, e ci sono altri medici che legittimamente non se la sentono. Noi, per esempio, abbiamo almeno un caso di un paziente che si sta curando da solo. Si tratta di un fenomeno sottotraccia che cerchiamo di monitorare per quanto possibile, ma che si sta diffondendo sempre di più tra le community di pazienti, e non solo quelle virtuali".

Per il presidente EpaC nel Belpaese il fenomeno esiste da 3-4 mesi ed è legato al "malcontento crescente di chi dopo una visita si sente negare la cura perché non abbastanza grave. Le persone che a noi risulta abbiano materialmente acquistato il farmaco all'estero sono una casistica limitata - puntualizza Gardini - ma sono in forte crescita quelle che ci chiedono informazioni su dove procurarsi le molecole anti-Hcv . Questo succede quasi quotidianamente e pone l'associazione in una situazione di forte imbarazzo".

"Per contenere il fenomeno occorre eliminare i paletti che, come in qualsiasi forma di proibizionismo, vengono aggirati - conclude il presidente EpaC - Occorre fornire ai malati di epatite C certezze temporali sulla loro cura. Con l'Hcv si è creato qualcosa di inedito per la sanità italiana: l'accesso al farmaco è garantito solo nel momento in cui la malattia si aggrava. Dobbiamo assolutamente circoscrivere ed eliminare questo fenomeno che oggi riguarda l'epatite C, ma domani potrà allargarsi all'oncologia o al diabete".

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