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Covid, lo studio: un supercomputer per bloccare il virus

Lo studio è frutto del lavoro di ricerca del Gruppo di Bioinformatica strutturale del Dipartimento di Biologia dell'università Roma Tor Vergata.

(Fotogramma)
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01 luglio 2020 | 14.02
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Un'analisi condotta da un supercomputer ha individuato molecole promettenti, in grado di inibire la Spike, una sorta di uncino usato da Sars-Cov-2 per penetrare nelle cellule. Lo studio, pubblicato dalla rivista 'Virus Research', è frutto del lavoro di ricerca del Gruppo di Bioinformatica strutturale del Dipartimento di Biologia dell'università Roma Tor Vergata. Si tratta, si legge in una nota dell'ateneo, del primo lavoro interamente computazionale sottoposto a revisione tra pari che prende in considerazione come bersaglio per l’inibizione una porzione interna della Spike S glycoprotein, glicoproteina di membrana del virus che, in seguito al legame con il recettore Ace2 della cellula umana, dà inizio al processo infettivo.

Scopo del lavoro è stato quello di trovare, utilizzando tecniche computazionali, delle molecole appartenenti al gruppo dei farmaci approvati dalla Food and Drugs Administration americana e dunque facilmente riutilizzabili perché già noti, avvalendosi della procedura cosiddetta di 'drug repurposing'. Farmaci che dovrebbero essere capaci di bloccare la proteina Spike mentre esegue la transizione conformazionale, ovvero il movimento molecolare necessario al completamento del processo infettivo. "Le molecole inibitrici - spiega Mattia Falconi, coordinatore della laurea magistrale in Bioinformatica, tra gli autori della ricerca - sfruttano la cavità interna della glicoproteina Spike e occludendola impediscono il movimento dell’intera macromolecola".

Gli studi realizzati dal gruppo coordinato da Falconi si sono concentrati sulla cavità interna del recettore Spike. "Attraverso uno screening virtuale abbiamo osservato che alcuni farmaci possono occludere questa cavità, impedendo così il movimento dell’intera macromolecola e bloccando il processo infettivo", evidenzia. "L'aspetto molto interessante - continua Falconi - è che la zona utilizzata come bersaglio dagli inibitori rimane sostanzialmente invariata nelle sequenze genomiche conosciute di Sars-Cov-2 a oggi disponibili, e possiede un alto grado di similarità anche con quelle di altri betacoronavirus, in quanto non sottoposta a fenomeni di mutazione. Infatti, un’alterazione di questa regione impedirebbe la fase iniziale del meccanismo di infezione e porterebbe alla scomparsa del virus. L’efficacia di queste molecole inibitrici sarà testata a breve attraverso tecniche sperimentali in laboratorio, su pseudo-virus".

Lo screening virtuale è stato eseguito grazie all’utilizzo del cluster Hpc dell'Enea Cresco6, il supercomputer messo a disposizione per la ricerca su Covid-19. "L’obiettivo del nostro studio - affermano Alice Romeo e il Federico Iacovelli, ricercatori del Dipartimento di Biologia e coautori della ricerca - è stato identificare possibili composti che possano legarsi stabilmente nella cavità interna della Spike S di Sars-Cov-2 e agire come inibitori della fusione". I composti più promettenti sono la ftalocianina e l’ipericina, entrambi precedentemente valutati in diversi studi come possibili antivirali su diversi tipi di virus, tra cui l’Hiv. "I risultati ottenuti possono essere estesi a tutti gli isolati di Sars-Cov-2 a oggi sequenziati e potrebbero avere un’applicazione anche nel trattamento di altri tipi di infezioni virali", concludono Romeo e Iacovelli.

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