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Il punto di vista

Follini: "Il 'miracolo' di De Gasperi anche grazie al pluralismo della Democrazia Cristiana"

Oggi "noi siamo approdati agli antipodi di quella stagione"

Marco Follini
Marco Follini
26 maggio 2024 | 10.24
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"Su quanto la Dc fosse a suo tempo, coerentemente e fino in fondo, 'degasperiana'; e su quanto a sua volta De Gasperi fosse egli stesso 'democristiano' si discute da un bel po’ di tempo. E ora l’argomento riaffiora discretamente tra le righe di un libro che Antonio Polito ha dedicato allo statista trentino a settanta anni dalla sua scomparsa.

S’intende che De Gasperi fu colui che trascinò la Dc alla vittoria elettorale, piantando le radici di un albero imponente che ha dominato la foresta politica del nostro paese per un cinquantennio. Ne fu segretario due volte, prima e dopo il suo settennato di governo. E non pensò mai che il suo destino politico potesse essere altrove. I democristiani a loro volta lo riconobbero come il loro 'capo' e quelli che restano tali continuano ancora oggi a onorarne la memoria.

L’argomento, insomma, potrebbe chiudersi qui. Tanto più che Polito lo affronta con garbo, quasi in punta di piedi. Non insinua affatto che tra De Gasperi e i suoi cari vi fosse una così grande contraddizione. E però anche lui finisce per fare i conti con una dialettica che fu a suo tempo più complicata di quanto l’ufficialità non abbia poi riconosciuto. Nel senso che non sempre la Dc si rispecchiò appieno nell’agenda di quei governi. E nel senso che quando poi il leader tornò a piazza del Gesù trovò un partito ben diverso da quello che aveva lasciato qualche anno prima. Riaffiora così quell’immagine di 'uomo solo' che diede il nome al libro di ricordi scritto dalla figlia Maria Romana e che ancora oggi finisce per richiamare l’idea di un certo attrito tra il leader e il suo retroterra.

La questione non riguarda solo la storia e i protagonisti di quel tempo. Riguarda anche noi e i nostri giorni. Dato che anche adesso, e forse molto più di allora, tra il leader e il suo esercito c’è una dialettica non priva, a volte, di una certa asprezza. Certo, oggi il leader conta molto più di prima, tant’è che spesso e volentieri scolpisce il suo nome nel simbolo del partito, fa e disfa le liste elettorali a suo piacimento, confessa e sconfessa i suoi cari con una disinvoltura che all’epoca di De Gasperi sarebbe apparsa piuttosto disdicevole. Un costume che ha preso il largo ormai, e che sembra appartenere a pieno titolo alla nostra Repubblica -seconda o terza che sia. Ma le cui origini si possono riconoscere anche presso figure lontane. Si pensi a Saragat che definì 'omuncoli' i suoi seguaci del Psdi. O a Fanfani che trattò le correnti dc della sua stagione in modo abbastanza rude e sbrigativo.

Polito riassume i termini della questione attribuendo a De Gasperi il principio per il quale il leader è forte se sono forti le istituzioni e non i partiti. Principio che l’interessato praticò senza però mai teorizzarlo troppo. Un po’ perché la sua idea era che la politica non avesse un esagerato bisogno di teorie. E un po’ perché era consapevole che il suo partito, anche per l’ampiezza dei consensi raccolti, era destinato a ospitare molti interessi e molti punti di vista, non sempre così docili. Interessi che andavano armonizzati, certo. Ma senza illudersi più di tanto di poterli ricondurre a una troppo ferrea disciplina.

Dunque ai giorni nostri possiamo più che altro fare supposizioni e simulazioni. Sapendo però -ce lo dice la storia- che De Gasperi potè avviare la politica e l’economia italiana verso il 'miracolo' del dopoguerra anche perché l’estremo, disordinato, indisciplinato pluralismo del suo partito gli consentì di rivolgersi a uno spettro amplissimo della popolazione. Fossero state più ordinate le cose, difficilmente sarebbe stato così positivo il loro esito.

Nel frattempo, viene da dire che noi siamo approdati agli antipodi di quella stagione. E mentre i grandi leader di quella lontana stagione si rassegnavano a fare i conti con un certo disordine politico, i leader di oggi si trovano alla prese con una situazione apparentemente più ordinata secondo i loro voleri e poteri. Che tutto questo rechi alla politica dei nostri giorni un così cospicuo vantaggio resta però tutto da dimostrare". (di Marco Follini)

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