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Il punto di vista di Follini

Difesa, Follini: "Aumento spesa inesorabile, in voto realpolitik prevarrà"

Il punto di vista di Marco Follini per Adnkronos

Difesa, Follini:
27 marzo 2022 | 10.08
LETTURA: 3 minuti

"Nell’inverno a cavallo tra il 78 e il 79 il segretario della Dc dell’epoca, Benigno Zaccagnini, si trovava a Washington per essere ricevuto dal presidente americano dell’epoca, Jimmy Carter. La sera prima durante una cena tra diplomatici e funzionari, il consigliere della Casa Bianca Brzezinski gli chiese come sarebbe stata accolta in Italia la richiesta degli Stati Uniti di dislocare i nuovi missili da crociera con cui si pensava di controbilanciare lo spiegamento di altrettanti analoghi missili da parte sovietica presso i paesi del blocco orientale. Zaccagnini ci pensò un attimo, solo un attimo, e poi rispose d’istinto al dirigente americano che 'no, il nostro paese non avrebbe potuto accettarlo'.

Qualche mese dopo i deputati e senatori democristiani, e lo stesso Zaccagnini, votarono diligentemente la dislocazione di quei missili della Nato, allo stesso modo in cui decisero e votarono i socialdemocratici tedeschi. Vi fu qualche mugugno, ma nessun voto in dissenso. E a detta di tutti gli storici dell’epoca proprio quegli euromissili dispiegati all’ovest contribuirono poi a spingere l’Unione Sovietica verso la politica di Gorbaciov, fino a condurre, di lì a una decina d’anni, alla caduta del muro di Berlino.

E’ ovvio che la decisione di armarsi di più non è mai facile da prendere, e tantomeno popolare. Il sentimento della pubblica opinione, nella gran parte dei casi, è quello a cui ha dato voce Papa Francesco. Di 'vergogna', o almeno di disagio. Non a caso, perfino Salvini, dopo aver fatto a suo tempo largo sfoggio di sé attraverso immagini più che bellicose su tutti i social, ora sembra voler recitare la parte dell’agnellino a disagio al solo sentire la parola 'armi', così diffusa nel vocabolario di questi nostri giorni.

Non sorprende dunque che di fronte alla prospettiva di aumentare, e quasi raddoppiare, le nostre spese per la sicurezza militare ci sia un certo trambusto nella sfera politica. E soprattutto tra quei partiti che sembrano tagliati più per dar voce alle proteste di chi fa opposizione che ai faticosi doveri di chi governa. Decisioni di questo tipo non vengono mai prese a cuor leggero, e chi se ne assume l’onere sa bene -fin troppo- che il costo di questi stanziamenti almeno a breve termine viene pagato con una riduzione della spesa sociale. Prospettiva tutt’altro che rosea.

Si comprende dunque come nella sfera grillina, e perfino in quella leghista, non ci sia un gran favore all’idea di spostare risorse dal welfare alle armi. E tantomeno alla prospettiva di dover fronteggiare proteste e malumori popolari fin troppo prevedibili. Resta il fatto però che quelle spese sono l’inesorabile tributo che anche il nostro paese finirà per dover pagare all’insicurezza collettiva di questi anni. Un’insicurezza che la tragedia ucraina, a poco più di un paio di migliaia di chilometri dai nostri confini, ha reso drammaticamente evidente a tutti (o a quasi tutti).

E però si comprende pure come la Realpolitik sia destinata a imporre le sue regole. E tanto più in tempi così turbolenti come quelli che stiamo attraversando. Sono mesi e mesi che gli Stati Uniti minacciano di ridurre gli stanziamenti militari a favore della Nato. E sono mesi e mesi che nelle cancellerie europee si discute di come mettere in campo progetti strategici comuni. Tutte cose che non inducono al sorriso e non promettono facile popolarità. Ma che fanno parte delle dure regole della storia e della geopolitica.

Così, si spiega la nettezza con cui il governo si pronuncia a favore di un aumento degli stanziamenti per la difesa. E si intuisce che questa nettezza -sofferta, costosa, a volte dissimulata, altre volte quasi imbarazzata- fa parte di una sorta di inesorabilità a cui non ci si potrà sottrarre senza mettere a repentaglio il nostro posizionamento sulla scena internazionale.

Ad alcuni dei nostri leader verrà quasi istintivo di rispondere al modo di Zaccagnini in quel lontano inverno di quasi mezzo secolo fa. E poi però di votare al modo in cui suoi stessi parlamentari si trovarono a fare appena qualche settimana dopo". (di Marco Follini)

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