Primo campanello di allarme: il Mediterraneo è uno dei mari più impattati al mondo dal problema del marine litter, in particolare dalla presenza di plastiche e microplastiche, con livelli di concentrazione di derivati plastici paragonabili a quelli riscontrati nei grandi vortici oceanici e circa 90 specie documentate impattate. Ma cosa sappiamo dell'impatto che questo fenomeno ha sulla biodiversità? E quali le conseguenze sul consumatore finale? Poco, soprattutto su quest'ultima questione. Sui due aspetti, in cerca di prove e informazioni che ancora non abbiamo, stanno lavorando i laboratori dell'Università di Pisa in collaborazione con Ispra.
"Stiamo cercando di stabilire se l'ingestione di plastiche e microplastiche può avere effetti negativi sulle specie, legati al trasporto di inquinanti di cui le microplastiche sono vettori poiché assorbono i Pop (composti organici persistenti) con concentrazioni che possono essere migliaia o milioni di volte superiori a quelle presenti sulla superficie marina", spiega all'Adnkronos Maria Cristina Fossi dell'Università di Siena, tra i massimi esperti al mondo nella ricerca sugli impatti del marine litter sulla biodiversità, intervenuta al convegno organizzato da Legambiente, Enea e Ippr sul tema a Ecomondo.
"Una balena, ad esempio, filtra 700.000 litri di acqua ogni volta che apre bocca assumendo una quantità enorme di plastiche e microplastiche che hanno una elevata concentrazione di inquinanti. Tanto che nei 'grandi filtratori' del Mediterraneo i livelli di Pop o additivi della plastica come gli ftalati sono 4/5 volte superiori a quelli delle balene che vivono in zone meno contaminate del pianeta", spiega la Fossi. Non solo balene. L'80% delle tartarughe che popolano il Mediterraneo presenta plastica nello stomaco, in alcuni esemplari si arriva fino a 150 pezzi plastici.
Quanto di questi inquinanti possa essere trasportato al muscolo di specie edibili come tonno, spigola o spada (e quindi finire sulle nostre tavole) e quali sono le conseguenze sul consumatore finale, è un aspetto ancora da indagare. "Dai dati che emergono sia dalla Strategia marina effettuata in campo italiano sia dalle ricerche specifiche effettuate nei nostri laboratori, il 15-20% delle specie edibili esaminate presentano microplastiche, ma in quantità ridotta, parliamo di 1-3 frammenti inferiori ai 5 millimetri - spiega Fossi - Ora però bisogna capire se queste microplastiche trasportano inquinanti. Su questo aspetto ancora non esistono prove e informazioni, per questo stiamo lavorando in collaborazione con Ispra".