Il docente: "Uno dei vincoli che pongono ai colloqui selezione i più giovani è di poter lavorare in smart working almeno due giorni alla settimana'
Con la pandemia l’Italia ha conosciuto un boom dello smart working (o meglio del lavoro da remoto) nel pubblico e nel privato mai visto prima. Adesso siamo in fase di ‘normalizzazione’, ma due anni di emergenza hanno segnato le organizzazioni e i lavoratori. Che bilancio possiamo trarre? Cosa ci hanno lasciato questi due anni? Adnkronos/Labitalia lo ha chiesto a Pier Maria Minuzzo docente 24ORE Business School. "Oltre a segnarci personalmente e a rendere la fase dell’adolescenza dei nostri ragazzi un unicum che non dovremo dimenticare nel loro percorso di maturazione e crescita, questi due anni ci hanno lasciato tante conseguenze, ma anche tante opportunità", spiega l'esperto.
"A fianco ad un senso di malessere diffuso, alla paura del vicino e alle tante insicurezze sulle nostre fragilità, che poi sono anche all’origine anche delle grandi dimissioni, è rinata la voglia di riappropriarsi del tempo: inteso come famiglia, tempo libero, sport, cultura e divertimento. Ecco perché il lavoro non è più al centro dell’interesse. Oggi, sono i candidati che scelgono l’azienda. Lo stipendio da solo non basta, si cercano valori condivisi, attenzione alle diversità, all’inclusione e al concetto di equità contrapposto a quello di uguaglianza. Uno dei vincoli per avviare un colloquio di selezione che soprattutto i più giovani pongono, è quello di essere certi di poter lavorare in smart working almeno due giorni alla settimana", sottolinea Minuzzo.
"Questa propensione al cambiamento è comunque condizionata da quello che sarà la stabilità del lavoro agile nelle organizzazioni che, secondo l’indagine dell’Istituto nazionale delle politiche pubbliche - Inapp-Plus, farebbe optare un terzo degli occupati per un trasferimento in un piccolo centro e 4 su 10 in un luogo isolato a contatto con la natura", aggiunge Minuzzo.
Nuovi strumenti e nuova organizzazione del lavoro per alcune fasce di lavoratori hanno fatto maturare la consapevolezza di una maggiore autonomia nel processo lavorativo. Un cambiamento che dovrà essere preso in considerazione anche dalle imprese.
"Dal punto di vista delle aziende, per rispondere alle nuove modalità organizzative più complesse, ma più agili, perché gestibili in forma ibrida e digitale, -dice Minuzzo- si punterà – e molte imprese già lo stanno facendo – sullo smart office. Uno smart office che non deve però essere inteso come semplice open space con postazioni assegnate, seguendo una logica più associata allo status che alle reali esigenze delle persone. Smart Office non significa, infatti, ridurre gli spazi o il numero di postazioni di lavoro, ma concepire nuovi ambienti con caratteristiche tali da favorire la massima realizzazione dell’esigenza lavorativa. Ad esempio, per svolgere una telefonata sarà necessario avere un ambiente che garantisca la riservatezza della comunicazione e al contempo non disturbi i colleghi, per concentrarsi sarà necessario un ambiente silenzioso che favorisca il lavoro individuale e così via".
Quali sono allora i vantaggi? "Lo Smart Office, -risponde l'esperto- nella sua modalità digitalizzata dà all’azienda, a differenza del passato, l’opportunità di riunire l’intera workforce in un unico luogo virtuale, a prescindere da sede, nazione, punto vendita e stabilimento. Con il digital workplace i diversi ruoli nell’azienda diventano comuni, includendo anche chi opera sul campo e che sinora è sempre stato ai confini dell’organizzazione".
Con l'avvento dello smart working e dello smart office, cambieranno anche gli elementi considerati prioritari dai responsabili delle risorse umane e dai manager nell’organizzare il lavoro. "La trasformazione del paradigma del lavoro -dice Minuzzo- diventa un’occasione straordinaria per abbattere silos radicati da anni, rivedere tratti della cultura aziendale poco adatti all’agile working. Fondamentale sarà la gestione della comunicazione interna che dovrà allinearsi con quella esterna, per sostenere con messaggi di rinforzo questa importante fase evolutiva, accompagnando il cambiamento e la crescita delle persone attraverso un nuovo modello di cultura aziendale, che potrà essere speso anche nel bilancio di sostenibilità". "Per questo sarà necessario attivare un processo di cambiamento di leadership tra i manager che abbia come punti cardine: la gestione dei collaboratori (Work life integration, Coinvolgimento, Equità tra chi lavora in sede e chi lavora da remoto), la formazione (diffusione della conoscenza e delle best practice), la collaborazione (lavoro in team), le relazioni (tecnologie abilitanti, gestione dei team e dei suoi conflitti)", aggiunge Minuzzo. Ma la nostra normativa è adeguata a questo cambiamento in atto? "Direi che il Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile nel settore privato siglato il 7 dicembre 2021 da Confindustria e dalle altre principali associazioni datoriali e sindacali, alla presenza del Ministro del lavoro, costituisce un’ottima base per alimentare la cultura e l’utilizzo dello smart working -spiega l'esperto-. Certo è che la formula semplificata autorizzata nel periodo della pandemia è stata l’arma che ha favorito la sua diffusione. Ritengo che per aziende e lavoratori sarebbe più efficace disporre di uno strumento che medi tra lo smart working Covid e post covid, abbinando diritti e tutele per i lavoratori previste dal Protocollo e comunicazioni semplificate e massive dell’epoca della pandemia". (Mariangela Pani)