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Consulenti lavoro: "Reddito di cittadinanza ha funzionato solo a metà, seconda fase mai partita"

Il vice presidente del consiglio nazionale dei professionisti Duraccio: "Così è mero strumento assistenzialistico"

Consulenti lavoro:
07 settembre 2021 | 18.35
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"Si può affermare che lo strumento" del reddito di cittadinanza "ha funzionato soltanto a metà. Il Rdc nasce come misura di sostegno economico per le famiglie sotto la soglia di povertà ma anche e soprattutto come misura di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro e per l'inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro". Così, intervistato da Adnkronos/Labitalia, Francesco Duraccio, vice presidente del Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro.

"Sotto il primo aspetto -spiega Duraccio- ha sicuramente dispiegato effetti positivi, come da ultimo evidenziato anche dal rapporto Ocse 2021 sull’Italia". "Come misura di inserimento sociale e lavorativo, invece, non si registrano effetti tangibili. Il risultato è che lo strumento si è sostanzialmente trasformato in una mera misura assistenzialista senza creare le auspicate condizioni di avvicinamento dei percettori al mondo del lavoro. La famosa 'seconda fase' del RdC, insomma, non è mai partita", sottolinea ancora Duraccio.

Per Duraccio, "il sistema dei servizi per l’impiego ha curato in effetti soltanto gli aspetti burocratici dello strumento e l’Anpal, a circa due anni e mezzo dall’avvio, non è stata in grado di attivare l’assegno di ricollocazione che avrebbe dovuto accompagnare i percettori verso il mondo del lavoro". "A questi si aggiungono gli effetti indiretti di questa impasse, ovvero la più volte e da più parti denunciata indisponibilità dei percettori di cercare un posto di lavoro per non perdere il diritto al sussidio. Situazione questa non sfuggita all’Ocse che nel rapporto invita l’Italia a ridurlo proprio 'per incoraggiare i beneficiari a cercare lavoro'", sottolinea Duraccio.

Secondo i consulenti del lavoro l'eventuale abolizione o riforma del reddito di cittadinanza passa "per una decisione politica, in ogni caso bisognerebbe conservare gli aspetti positivi e che hanno funzionato ed apportare una serie di correttivi", aggiunge Duraccio.

"Al netto delle implementazioni delle misure anti frode, per arginare il fenomeno dei 'furbetti', bisognerebbe come prima cosa -spiega Duraccio- suddividere l’importo pro quota per ogni componente della famiglia, cosa tra l’altro presente nella norma originaria ma inattuata in assenza del relativo decreto attuativo, in modo che in caso di occupazione di un solo componente gli altri possano continuare a percepire il sussidio per un ulteriore e determinato periodo senza perderlo".

"Poi bisogna necessariamente accorciare i tempi -continua Duraccio- tra la sottoscrizione del patto per il lavoro e/o per l’inclusione e l’avvio delle relative misure di politica attiva. Bisogna in tutti i modi aiutare e spronare i percettori ad uscire dalla situazione di passività ed inerzia generatasi, inserendo nuove misure per aumentare l’occupabilità e diminuire le distanze di queste persone dal mondo del lavoro".

Per il vice presidente del Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro, "si dovrebbe favorire un 'utilizzo' dei percettori, soprattutto quelli inseriti nei percorsi di integrazione sociale, nei servizi di pubblica utilità, come ad esempio la manutenzione del verde pubblico piuttosto che il supporto all’attraversamento stradale dei bambini nei pressi delle scuole etc., nella duplice ottica di rendere un servizio al Paese, favorendo nel contempo una diversa considerazione della misura anche agli occhi dell’opinione pubblica, e aumentare l’occupabilità, facendo acquisire nuove competenze", sottolinea Duraccio.

"Per i soggetti con una maggiore spendibilità nel mondo del lavoro -spiega Duraccio- bisognerebbe consentire, senza intaccare la percezione del reddito, la possibilità di svolgere una work experience, una sorta di tirocinio di inserimento che avvicini il precettore al mondo del lavoro onerando l’azienda ospitante soltanto della differenza tra la quota di Rdc percepita e il contributo di partecipazione al tirocinio previsto dalle regioni. Bisognerebbe poi rivedere gli incentivi all’assunzione e dare vita all’altro strumento rimasto sulla carta che è il patto per la formazione", aggiunge ancora.

"Tutto ciò passa ovviamente da una migliore strutturazione dei servizi per l’impiego, dal relativo potenziamento organico in cui considerare la delicata vicenda della stabilizzazione dei navigator e dall’indefettibile coinvolgimento anche degli operatori privati dei servizi al lavoro", conclude Duraccio.

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