L'esperta: "Imprese italiane piccole e familiari sono facilmente scalabili"
Le imprese italiane della moda, fashion e luxury sono da sempre appetite dai grandi gruppi stranieri: negli anni, da Valentino (attualmente di proprietà di una società del Qatar) a Gucci (comprata dai francesi del Gruppo Kering), molti brand storici del made in Italy sono finiti in mani estere. E dopo la pandemia "c'è da aspettarsi una nuova ondata di shopping straniero sul mercato italiano della moda", come dice ad Adnkronos/Labitalia Anna Zinola, docente all'Università Cattolica e presso i master dell'Istituto Marangoni, esperta di marketing nel campo della moda.
"Intanto c'è da dire -osserva Zinola- che le imprese del settore moda in Italia sono abbastanza appetibili per una questione dimensionale: sostanzialmente sono delle pmi e quindi sono più facilmente scalabili. E poi spesso sono delle aziende familiari, nella quali si può presentare il problema del passaggio generazionale. Un esempio classico è quello che è successo a Pomellato: quando Pino Rabolini, il fondatore di Pomellato, ha detto 'io voglio uscire' e il figlio ha detto 'non mi interessa' ha dovuto vendere ai francesi del Gruppo Kering".
Dunque, "imprese familiari che non reggono al passaggio generazionale e piccole e medie imprese che non reggono al salto dimensionale, che non hanno cioè abbastanza finanziamenti interni per crescere", spiega Zinola: queste sono le caratteristiche delle imprese della moda italiana che favoriscono poi l'acquisizione da parte dei gruppi stranieri.
Ma c'è anche un rovescio della medaglia, sottolinea l'esperta: "Questi due aspetti in realtà sono anche dei vantaggi perché d'altro canto le piccole dimensioni permettono flessibilità e la padronalità permette velocità decisionale". "Anche se nel momento in cui si vuole crescere, ci si scontra con questo soffitto", spiega Zinola.
"Fendi, Bulgari, Valentino -ricorda la docente- sono già stati acquisiti da tempo e uno degli ultimi che è stato acquisito è stato Versace, comprato dagli americani di Capri Holdings".
Tuttavia, avverte, "le acquisizioni non hanno fatto perdere alle produzioni l''italianità' e spesso i direttori creativi come Alessandro Di Michele per Gucci, sono rimasti italiani". "E nessuno Gruppo è così stupido da acquisire un'impresa che ha nel brand e nello stile il suo punto di forza e poi sradicarla. C'è anche chi (come nel caso di Balenciaga) ha lavorato a lungo sugli archivi per recuperare l'idea, il valore di quell'azienda per proporli con nuove declinazioni", conclude Zinola.