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Vaticano: mons. Ginami (Segreteria di Stato), il Calvario oggi si trova a Gaza

L'esponente della Segreteria di Stato vaticana al rientro dalla Striscia: "Una realtà che possiamo paragonare all'inferno". E racconta la storia di Muhammad che ha perso i 5 figli, padre, fratello e i 3 nipoti

Bombardamenti su Gaza (Foto Xinhua)
Bombardamenti su Gaza (Foto Xinhua)
16 novembre 2014 | 16.18
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"Parlare della sofferenza di Gaza non è semplice: oggi il Calvario non è a Gerusalemme, è in una piazza insanguinata nella Striscia di Gaza". Usa toni forti monsignor Luigi Ginami, della Segreteria di Stato vaticana, riferendo all'AdnKronos la sua esperienza recente di una visita in quel lembo tormentato del Medio Oriente e della Terra Santa.

Confessa l'esponente vaticano, che ha fondato la onlus 'Amici di Santina' per il sostegno concreto all'infanzia, a Gaza come in Kenya o nelle favelas dell'America Latina: "Ho fatto fatica a prendere in mano la penna, per fissare quanto avevo visto e ho fatto passare quindici giorni di silenzio e di meditazione, perché - spiega - davanti a quanto abbiamo visto occorre rispetto, occorre riflessione e soprattutto occorre tanta preghiera per regalare significato a quanto abbiamo potuto vivere e condividere".

A fine ottobre, monsignor Ginami con un piccolo gruppo di fidati collaboratori ha 'vissuto' più che semplicemente visitato Gaza e i suoi dintorni; è andato all'ospedale di Shifa, ha incontrato le vittime sopravvissute al massacro di Safa, ha persino avuto un contatto diretto con una famiglia del braccio armato di Hamas, per osservare la realtà da ogni possibile prospettiva.

"Ma è difficile ricostruire globalmente la vita nella Striscia di Gaza: essa è fatta di un mosaico di storie dell'orrore che non si riescono a capire, se non vivendo in questa realtà che a tutti gli effetti possiamo paragonare a un inferno", afferma monsignor Ginami.

Torna ai toni forti, l'esponente della Segreteria di Stato vaticana: "Davanti a corpi carbonizzati, al fetore della decomposizione dei cadaveri, alle orrende mutilazioni avviene un fatto fisiologico: si vomita. Io, raccontando questa realtà, vorrei far 'vomitare' coloro che ascoltano con cuore appassionato e pulsante, avvicinandosi a questo nuovo Monte Calvario chiamato Striscia di Gaza".

Un posto, non fatica ad ammetterlo monsignor Ginami, dove "una domanda compulsiva entra nella mente e nel cuore: perché Dio permetti questo? Ma dove sei finito? Dove sei, Signore? Tutte queste storie interrogano anche il mio vissuto di uomo religioso. Soltanto in una prolungata preghiera e confrontando queste vicende con la storia di Gesù in croce sono riuscito a vedere in fondo a questo buio tunnel di dolore un'alba lieve di luce. Solo il Crocifisso spiega quei dolori e quelle ferite, che sono le ferite di un'umanità lacerata e crocifissa dall'odio insaziabile".

Una storia può forse valere per tutte, anche se ciascuna racconta uno spicchio diverso di verità. E' quella di Muhammad Al Silky, abitante palestinese di Safa, piccolo rione del quartiere di Al Shujaiya nella zona orientale di Gaza City. Ha 30 anni, ha perso la gamba destra, non muove più un braccio, ha avuto l'addome dilaniato da un'esplosione di cui porta la cicatrice che 'disegna' una specie di enorme ragno rosso.

Ma, soprattutto, ha perso in un attimo lungo un'eternità tutti e cinque i suoi figli di 3, 5, 7, 8 e 9 anni che un istante prima del bombardamento aereo giocavano sul terrazzo che faceva da tetto alla sua casa; ha perso il padre, il fratello con i suoi tre figli ovvero i tre nipotini: 10 morti, tutti ritratti in una foto appesa alla parete. Ai figli, aveva proprio lui raccomandato di giocare sul terrazzo per non scendere in piazza, nelle quattro ore di tregua concesse dall'aviazione israeliana, perché poteva essere comunque pericoloso. Poi, le bombe dall'alto, all'improvviso.

"Quando siamo entrati in quel che resta della sua abitazione - riferisce monsignor Ginami - Muhammad non ha voluto nulla, nessuna 'elemosina', ma soltanto parlarci, raccontarci la sua vicenda ripercorrendola quasi minuto per minuti fino agli ultimi tragici eventi, rivendicando il diritto di raccontare l'orrore, il terrore, la nausea di una sofferenza che spacca il cuore e il cervello prima ancora che frantumare le ossa e lacerare la carne: raccontare, in una parola, il suo inferno".

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