Alla fine si è optato per una presidenza tripartita, divisa tra Consiglio, Parlamento e Commissione, con i tre presidenti, e un comitato esecutivo con i rappresentanti di ciascuna istituzione. Il compromesso sulla guida della Conferenza complica la struttura di vertice e ne fa qualcosa che assomiglia ad un "trilogo istituzionalizzato", osservano von Ondarza e Alander (il trilogo è il negoziato legislativo interistituzionale sui provvedimenti legislativi tra Parlamento e Consiglio, con la Commissione come mediatrice).
La Conferenza dovrebbe durare fino a metà 2022, come originariamente previsto, ma partendo con un anno di ritardo, cosa che ne dimezza la durata. Con la pandemia pare essere cambiato anche il focus, dato che von der Leyen ha citato ultimamente la Conferenza soprattutto in relazione alla necessità di creare l'Europa della salute. La Covid-19 ha messo in drammatica evidenza il deficit di competenze che i trattati attribuiscono all'Ue in materia sanitaria. In questo campo, la Commissione ha pochissimi poteri.
La politica sanitaria resta saldamente in mano agli Stati nazionali, cosa che in una pandemia costituisce un problema oggettivo, come è evidente dalla Babele di misure sanitarie varie, quarantene e test che ha, se non bloccato, considerevolmente ridotto la libera circolazione in Europa per tutto l'autunno-inverno-primavera 2020-21.
Per non parlare della "vergogna", come l'ha definita il commissario all'Economia Paolo Gentiloni, delle chiusure unilaterali delle frontiere nel marzo 2020, che impedirono il passaggio anche di materiali salvavita come il midollo osseo. E dei problemi che hanno caratterizzato l'avvio della campagna vaccinale in Europa, tuttora in ritardo rispetto agli Usa e, soprattutto, al Regno Unito, che ha appena abbandonato l'Ue con la Brexit.
E' un fatto che, per raggiungere risultati significativi in questo campo, come in altri, occorrerebbe modificare i trattati, che attribuiscono agli Stati competenze pressoché esclusive in campo sanitario. Non tutti sono d'accordo. Anzi, come spiegano i ricercatori della Swp, è probabile che una maggioranza di Stati membri si opporrebbe ad una modifica dei trattati.
Molti governi nazionali, spiegano von Ondarza e Alassen, hanno "riserve" sulla Conferenza. Hanno prevalso i Paesi "più scettici" e l'obiettivo principale del Consiglio è stato quello di "limitare la portata delle attività della Conferenza". In linea con l'articolo 48 del Tue, "cambiamenti ai trattati dovrebbero essere esclusi fin dall'inizio".
Per von Ondarza e Alassen, se la Conferenza finisse per non produrre alcuna riforma significativa, sarebbe un problema. Al pari delle difficoltà di rapportarsi direttamente con i cittadini che hanno le istituzioni Ue: "Organizzare una Conferenza sul Futuro dell'Europa con molta fanfara, promettendo un elaborato meccanismo per coinvolgere i cittadini, e non prendere sul serio alcuna proposta, alla fine non farebbe altro che confermare quanto è grande la distanza tra Bruxelles e i cittadini Ue", osservano.
Un esito simile, con proposte lanciate e lasciate cadere "farebbe più male che bene alla legittimazione democratica dell'Ue". Invece di rafforzare l'Unione in vista delle prossime crisi, l'Europa "continuerebbe ad essere capace di riformarsi solo quando si presentano situazioni di pericolo esistenziale. Nel lungo periodo, queste reazioni guidate dalle crisi rafforzano giustamente i dubbi sulla capacità di agire dell'Ue".
Per von Ondarza e Alassen, anche se sono "giustificate" le preoccupazioni di chi afferma che cambiare i trattati, frutto di faticosi compromessi tra gli Stati, equivarrebbe ad aprire il vaso di Pandora, la Conferenza offre l'occasione, se ben sfruttata, di "dare una nuova spinta al processo di riforme dell'Ue, che è bloccato da anni". E per spezzare lo stallo, serve "una leadership capace di legare le varie tendenze politiche in un compromesso fattibile sulle riforme".