Il Paese è ancora sotto choc a due mesi dall’attacco di Hamas del 7 ottobre
“Per noi è un secondo Olocausto, nessuno dica che non è successo”. A parlare così è il militare di guardia all’immenso deposito nel deserto dove sono state riunite tutte le auto delle vittime del rave del Festival Supernova. "Il mondo si svegli, pensate cosa fareste se accadesse ai vostri figli", dice un parente di ostaggi, mostrando la fotografia della famiglia Bibas, padre, madre, due bimbi di 4 anni e dieci mesi, ancora ostaggio a Gaza e forse morti secondo la cinica propaganda di Hamas.
Sono queste le voci di Israele, un Paese ancora sotto choc a due mesi dall’attacco di Hamas del 7 ottobre. Ad ascoltarle, una delegazione parlamentare italiana ed europea venuta in visita di solidarietà grazie all’ong Elnet. “Abbiamo sottostimato Hamas, la loro capacità di fare un’operazione di questo genere ma anche la loro brutalità”, ammette Arye Shallcar, uno dei 400mila riservisti richiamati per la guerra, che ci accoglie all’obitorio dove si identificano le oltre 1.200 vittime del massacro.
A due mesi dall’accaduto, ancora un centinaio di corpi devono essere identificati. A volte sono parti di corpi, o resti carbonizzati, o solo una Tac permette di capire che sono due corpi intrecciati. L’odore è ancora forte e bisogna mettersi la mascherina per avvicinarsi ai container dove sono raccolti i resti. ”Dobbiamo liberare tutti gli ostaggi, smantellare Hamas, la struttura terroristica, le armi, i droni, i tunnel, di cui abbiamo già scoperto 8mila ingressi. E non possiamo permettere che Hamas possa governare Haza, che Gaza torni ad essere una rampa di lancio per attacchi verso Israele”, sottolinea Shallcar.
Indossati giubbotti antiproiettile ed elmetti, si arriva a Sderot, città fantasma a soli 3 km da Gaza. Qui l'intera popolazione di oltre 30mila persone è stata evacuata. Il rimbombo dell’artiglieria della guerra a Gaza e continuo. Il briefing è in un rifugio sotterraneo accanto alla stazione di polizia che è stata completamente distrutta nell’assalto dei terroristi di Hamas. “A Sderot sono venuti con le mappe degli edifici, sapevano chi c’era nelle case, avevano informazioni dagli abitanti di Gaza che venivano a lavorare", sottolinea Micky Rosenfeld, portavoce della polizia israeliana.
Terza tappa, la discarica dove sono state raccolte un migliaio di auto dei 364 ragazzi massacrati al Festival Supernova, 200 delle quali completamente carbonizzate. Le poche cose rimaste, i vetri crivellati di proiettili, parlano da soli. Ma ancora più dolorosa la visita al kibbutz Kfar Aza. A farci da guida è Israel Lander, 65 anni, rimasto 23 ore chiuso nella safe room con sua moglie, mentre i terroristi di Hamas, che non si erano accorti della loro presenza, usavano la posizione elevata della sua abitazione per sparare sulle case circostanti. "Mi sento in colpa per aver costruito la mia casa in questa posizione”, confessa, mentre cammina fra i vetri rotti e i mobili rovesciati, dove ci sono ci ancora alcuni datteri portati dai terroristi per sostentarsi.
In questo kibbutz, da cui si vede Gaza in lontananza, sono state uccise 63 persone e altre 18 rapite, di 11 sono state liberate. A parlarci ancora oggi sono le case sventrate o bruciate. Ma anche la stanza dove è stata uccisa la madre di Abigail, la bimba israelo americana presa in ostaggio e recentemente liberata. I suoi due fratellini si sono salvati nascondendosi per ore in un piccolo armadio.