2,6 anni in media di vita in più per i maschi con redditi più alti rispetto ai pensionati con redditi più bassi
Vive di più, almeno sulla carta, chi percepisce una pensione più alta rispetto a chi ha un assegno più basso. Ed è così che un dirigente ha una aspettativa di vita di cinque anni in più rispetto a un operaio. In sintesi questo quanto emerge dal XXII Rapporto annuale Inps, presentato oggi alla Camera.
I pensionati maschi che appartengono al quintile di reddito più alto hanno una speranza di vita a 67 anni di circa 2,6 anni superiore rispetto ai pensionati che appartengono al primo quintile di reddito, quello più basso. Per le femmine, i divari sono minori, ma comunque significativi e quello tra l’ultimo e il primo quintile è di 1,7 anni.
Per gli uomini, spiega il rapporto Inps, il gruppo più longevo risulta essere quello dei pensionati delle gestioni InpdaI, Volo e Telefonici che hanno un’aspettativa di vita di due anni superiore a quella dei lavoratori dipendenti (Fpld). Per le donne l’aspettativa di vita più lunga è quella delle pensionate liquidate in regime di totalizzazione e cumulo. C’è da dire, comunque, che esiste notevole eterogeneità nella speranza di vita non solo fra gestioni, ma anche all’interno di una stessa gestione che ricomprende lavoratori che svolgono attività e operano in settori spesso molto diversi (si pensi per esempio all’insieme dei contribuenti al Fpld). Le differenze tra primo e ultimo quintile sono significative e maggiori per i maschi rispetto alle femmine. È interessante notare come nel divario tra primo e ultimo quintile non vi siano grandi differenze tra gestioni per cui il divario è di 2,6-2,7 anni per i maschi, qualunque sia la gestione, e di 1,7-1,8 anni per le femmine, così come nell’ambito di ciascun quintile restano le differenze tra gestioni.
Ne consegue, quindi, che un pensionato InpdaI (Fondo speciale dirigenti) del quintile più alto ha una speranza di vita di quasi cinque anni superiore a quella di un pensionato Fpld (che comprende impiegati e operai) del primo quintile, differenza di cui non si tiene conto nella determinazione della prestazione pensionistica. Secondo l'Inps l’utilizzo di un coefficiente di trasformazione unico per il calcolo della pensione risulta fortemente penalizzante per i soggetti meno abbienti il cui montante contributivo viene trasformato in una pensione più bassa di quella che otterrebbero se si tenesse conto della loro effettiva speranza di vita. Viceversa, i più abbienti ottengono pensioni più elevate di quelle che risulterebbero da tassi che tengono conto della effettiva durata media della loro vita.