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Obiettivo competitività. Le lenti di Meta sull’innovazione tecnologica in Ue

Regolamenti confusi e lentezza burocratica frenano lo sviluppo di settori come l’intelligenza artificiale in Europa, spiega Markus Reinisch di Meta.

Markus Reinisch, Vipe President Public Policy Europe, Meta - Andrea Butti
Markus Reinisch, Vipe President Public Policy Europe, Meta - Andrea Butti
19 ottobre 2024 | 13.07
LETTURA: 5 minuti

Le aziende tecnologiche che vogliono innovare in Unione europea trovano la strada tutt’altro che spianata. Da una parte una normativa poco chiara, la difficoltà di avere risposte dai regolatori, enormi complessità burocratiche. Dall’altra una mancanza cronica di competitività e fondi che fa arrancare l’economia europea rispetto a Stati Uniti e Cina. Per sbloccare la situazione servirebbe una revisione del sistema di regolamentazione...

Questa è la diagnosi che Markus Reinisch, Vice President Public Policy per l’Europa di Meta, ha offerto ad Adnkronos ai margini della conferenza Comolake 2024 di Cernobbio. Il dirigente austriaco ha parlato delle ragioni che ostacolano la competitività europea e, tra le altre cose, impediscono all'azienda di lanciare in Ue il suo nuovo modello di intelligenza artificiale multimodale Llama 3.2. “Non è una questione di scelta”, sottolinea Reinisch, ricordando che anche altre grandi aziende (come Apple) faticano a rilasciare i prodotti più innovativi.

Modelli come quello offerto da Meta possono essere parte della soluzione, ha aggiunto il dirigente: essendo open source possono essere liberamente adottati per una molteplicità di usi, inclusi quelli più verticali. Ma prima è necessario capire cosa non ha funzionato finora in Ue, tema al centro dei rapporti di Mario Draghi ed Enrico Letta a cui sta prestando grande attenzione la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Il versante regolatorio

Si parte dall’inizio: la regolamentazione. Sul lato pratico una realtà digitale che vuole operare in Ue deve tener conto di almeno 270 regolatori distinti nei vari Stati membri dell’Ue e circa 100 leggi locali in ambito digitale, spiega il dirigente di Meta. “Noi come grandi aziende possiamo permetterci di affrontare le difficoltà e i costi di compliance delle diverse normative. Ma se sei una piccola azienda europea, questo è impossibile”.

Inoltre non è chiaro né che tipo di dati possono essere utilizzati per addestrare i modelli di intelligenza artificiale in Ue, né in che misura si possono utilizzare, spiega Reinisch. E poi c’è il tema delle tempistiche, che è cruciale vista la velocità con cui si muove il settore tecnologico. Per esempio - continua - le conversazioni sull’Ia tra Meta e le istituzioni europee sono iniziate da tempo e si protrarranno almeno fino al primo trimestre del 2025. Il processo equivalente nel Regno Unito ha invece richiesto solo poche settimane.

La questione sarebbe quasi filosofica se non fosse per le sue pesanti implicazioni nell’economia reale. Con l’AI Act, Bruxelles si è posta all’avanguardia della disciplina e mira a implementare dei guardrail ben definiti per ridurre il rischio delle nuove applicazioni dei sistemi di intelligenza artificiale. Dalla prospettiva di Reinisch, però, utilizzare solo la lente del rischio per valutare queste nuove tecnologie potrebbe essere deleterio.

“Pensate al Covid: c'era la necessità di trovare un equilibrio tra la privacy e la sicurezza delle persone. Ciò che vale per la salute e la sicurezza vale anche per la produttività e l'innovazione”, spiega, sottolineando l’urgenza di realizzare soluzioni in grado di valutare l'effetto della regolamentazione sulle imprese. Anche perché l’Ue, che già arranca sul digitale, non può permettersi altro ritardo.

Le sfide della competitività

Per Reinisch i Paesi dell’Unione si stanno rassegnando alla superiorità statunitense nello sviluppo delle nuove tecnologie. In Europa il settore privato investe 50 volte meno degli Stati Uniti nel settore dell’Ia. “Vi dico che questo divario aumenterà e perderemo ancora più terreno”, avverte. Anche perché la competizione non arriva solo da ovest. “Probabilmente perderemo anche contro la Cina, che nonostante sia frenata dalle sanzioni sui chip riesce comunque a muoversi più velocemente”.

Secondo Reinisch ormai è l'India che si contende con l’Ue il terzo posto a livello globale. “Come europei abbiamo perso molte opportunità di creare un mercato unico, sia a livello industriale che normativo”. Non troppo tempo fa, il Pil europeo era più alto di quello statunitense, ricorda, ripensando agli albori della connessione mobile: sono stati i finlandesi di Nokia, gli svedesi di Ericsson e i grandi operatori telco europei a introdurre il 3G, mentre gli Stati Uniti rincorrevano. “Nel giro di 15 anni abbiamo perso il primo posto. E da europeo lo dico con enorme rammarico”.

Esiste un rischio culturale oltre che economico nello scegliere di non correre nell’ambito di una delle più grandi rivoluzioni tecnologiche, continua il dirigente austriaco. “Se la tecnologia non è costruita con il pensiero, con le specificità delle diverse culture – che sono rappresentate dai dati oltre che dai talenti –la tecnologia non rifletterà la nostra cultura”, avverte.

La soluzione secondo Meta

Come recuperare, dunque? “La verità scomoda è che lo sviluppo di foundation models è incredibilmente costoso”, spiega Reinisch, parlando dei modelli di grandi dimensioni e versatili alla base dei chatbot moderni. Al momento Meta investe circa 40 miliardi di dollari all'anno solamente sull’Ia. “Non siamo neanche i maggiori investitori, il valore degli investimenti dei primi quattro operatori è di circa 100 miliardi nel 2024”.

Questo non è un buon segno per l'Europa, perché aziende e istituzioni avrebbero difficoltà anche solo a reperire simili somme di denaro. Per non parlare del costo e della quantità di energia necessaria per allenare i foundation models, continua Reinisch. Dunque, dato che lo sviluppo da zero è “sostanzialmente impossibile” per aziende europee, ragiona il dirigente, le aziende europee potrebbero sfruttare i sistemi open source per saltare la fase di sviluppo e fare “ciò che sanno fare meglio, ovvero costruire le applicazioni verticali”.

Il suo ragionamento esprime la visione dell'azienda: scegliendo di sviluppare una famiglia di modelli open source – dunque liberamente scaricabili e sfruttabili da chiunque – Meta ha fatto una scelta unica rispetto a quelle delle altre grandi realtà tech nel campo dell’Ia. Però secondo Reinisch la strategia sta già pagando perché i modelli Llama “molto probabilmente diventeranno lo standard per questa industria".

Finora il modello è stato scaricato circa 500 milioni di volte a livello globale, racconta, e tra gli utenti ci sono diverse eccellenze europee che lo hanno utilizzato per le proprie applicazioni specifiche. Per gli europei “l’open source è una grande opportunità”: la disponibilità del modello, unito al controllo completo sul suo funzionamento e sui dati, sono una soluzione ideale per le realtà europee che vogliono sfruttare l’Ia per diventare più competitive, .

La stessa Meta ha all’attivo una collaborazione con il conglomerato italo-francese EssilorLuxottica, insieme a cui ha sviluppato gli occhiali intelligenti Ray-Ban Meta con fotocamere, sensori e sistema IA integrato – non disponibile in Europa proprio per ragioni di incertezza normativa, spiega l’azienda. Reinisch li ha indicati come un esempio concreto della strada che ha immaginato per le aziende europee. Si tratta di un prodotto costruito con “competenze e qualità europee, su una piattaforma tecnologica creata negli Usa”. E sono “la serie di dispositivi IA di maggior successo” sul mercato, chiosa.

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