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In 6 anni spariti oltre 50mila negozi

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23 settembre 2018 | 12.22
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La liberalizzazione del commercio introdotta dal governo Monti, concedendo la facoltà ai negozianti di stare aperti 24 ore su 24 per 365 giorni l'anno, domeniche e festivi compresi, ha contribuito, in 6 anni, alla chiusura di 55.951 negozi di piccole e medie dimensioni, con superfici inferiori ai 400 mq. Ma non solo, nello stesso periodo che va dal 2011 al 2017, i megastore, al contrario, sono aumentati di oltre 2.400 unità in Italia. E' quanto emerge da un'elaborazione condotta da Confesercenti su dati Istat e Mise per l'Adnkronos in vista del round di audizioni che si svolgerà a partire da martedì prossimo, il 25 settembre, alla commissione Attività produttive della Camera, su cinque proposte di legge in tema di liberalizzazioni per abrogare o modificare le norme contenute dal decreto Salva Italia.

In particolare, la Confesercenti rileva che con la totale "deregulation" degli orari e dei giorni di apertura, complice naturalmente il calo dei consumi delle famiglie, ad aver subito il maggiore contraccolpo sono stati soprattutto gli esercizi commerciali di dimensioni più piccole: quelli con una superfice inferiore ai 50 metri quadri hanno registrato 31.594 chiusure; a seguire quelli tra i 50 e 150 mq con - 22.873. Perdite di gran lunga inferiori per i negozi tra 150 e 250 mq (-754) e tra 250 e 400 mq (-730). In controtendenza risultano quindi i megastore con 2.419 nuove aperture.

Lo scenario si riflette, di conseguenza, sulle quote di mercato dei consumi commercializzati. La Gdo nei 6 anni considerati ha guadagnato 7 miliardi pari ad un incremento di circa il 3% a danno dei piccoli. Nel 2011 infatti la Gdo aveva una quota di mercato pari al 57,7%, salita nel 2016 al 60,2%, laddove il comparto 'tradizionale', nel medesimo periodo, è passato dal 29,8% al 27,2%. In crescita anche il commercio online che ha guadagnato il 2,5 punti percentuali passando da una quota dell'1,9% al 4,4%. Mentre altre forme di commercio hanno perso terreno passando dal 10,6% a 8,2%.

La liberalizzazione inoltre, secondo l'indagine di Confesercenti, ha inciso negativamente sull'occupazione complessiva del settore senza creare posti di lavoro aggiuntivi: tra il 2012 e il 2016 infatti, gli occupati del commercio sono passati da 1.918.675 a 1.888.951 con una perdita di 29.724 posti di lavoro.

Un calo dovuto soprattutto alla morìa di piccoli negozi. A spingere il dato verso il basso è infatti il crollo dei lavoratori indipendenti, cioè imprenditori e collaboratori familiari, che in questi quattro anni sono diminuiti di oltre 62mila unità, e la flessione degli esterni (imprenditori della consulenza e altro, che appoggiavano la rete dei negozi di vicinato) che invece perdono oltre 17mila posti di lavoro. Un’emorragia di occupazione che la crescita dei dipendenti (+47mila) e dei lavoratori temporanei (oltre 3.400 in più) non è riuscita a compensare.

"Lo spostamento delle quote di mercato dai piccoli ai grandi è il motivo principale che ci spinge a dire sì alla revisione della liberalizzazione introdotta dal Governo Monti" afferma all'Adnkronos il segretario di Confesercenti Mauro Bussoni. "Una questione da non ridurre alle sole domeniche: siamo il commercio più deregolamentato d’Europa, anche sugli orari. La necessità di dotare il settore di una regolamentazione efficiente è una questione che investe anche la qualità della vita dei cittadini. L’equilibrio fra le forme distributive ha a che vedere con la struttura delle nostre città. La desertificazione commerciale è ormai, purtroppo, una realtà. Ci sono interi quartieri, soprattutto nelle periferie, che soffrono l’assenza di servizi di vicinato"."Quale modello vogliamo?", si chiede Bussoni. "Pensiamoci in fretta, o i negozi di quartiere spariranno. Bisogna tutelare le imprese più deboli equilibrando la gestione delle aperture domenicali e togliendo i privilegi fiscali a chi opera nell’e-commerce". "Le proposte di legge su cui saremo chiamati ad esprimerci la prossima settimana - spiega Bussoni - hanno il pregio di riportare i problemi del mondo della distribuzione in primo piano. Il problema più grande che abbiamo oggi di fronte, però, non è tanto quello per quante domeniche e festività occorra chiudere, ma quello di creare una regolamentazione minima e condivisa, in modo tale che ci siano condizioni affinché le imprese di tutte le dimensioni possano tenere aperto e gestire un mercato plurimo, con disposizioni che tutelino concorrenza, consumatori e lavoratori".

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