Come sottolineato anche dall’OCSE nell’ultimo studio economico sull’Italia, incrementare l’occupazione femminile è fondamentale per lo sviluppo del Paese. Una delle possibili ricette per incentivare la presenza delle donne nel mondo del lavoro è l’introduzione della gender tax, ma la proposta tassazione differenziata per genere non ha mai visto la luce. Perché? Una analisi di vantaggi, criticità e possibili soluzioni
Un aumento dei livelli di occupazione, prima di tutto dei giovani e delle donne, è essenziale per lo sviluppo del nostro Paese. A sottolinearlo è l’OCSE nell’ultimo studio economico sull’Italia diffuso il 22 gennaio 2024.
Una spinta per incrementare la presenza delle donne sul mercato del lavoro potrebbe arrivare dalla gender tax.
Più di 15 anni fa Andrea Ichino dell’European University Institute e Alberto Alesina della Harvard University hanno proposto una tassazione differenziata per genere, mai attuata, con l’obiettivo di favorire l’occupazione femminile e distribuire in maniera più equa i carichi di cura all’interno delle famiglie.
Una analisi di vantaggi, criticità e possibili soluzioni.
Per i due autori la strategia per accorciare la distanza tra uomini e donne sul lavoro, ma anche tra le mura domestiche, è semplice: bisogna rendere più favorevole il lavoro femminile riducendo l’imposizione fiscale.
La tassazione differenziata per genere, secondo Ichino, oltre ad incrementare l’occupazione porterebbe anche una serie di altri vantaggi collegati come un aumento del reddito prodotto dalle donne, senza una riduzione di quello prodotto dagli uomini, o una rivoluzione nei consolidati ruoli di genere che affidano alla donna la maggior parte del carico di cura.
In questa ipotesi di agevolazione fiscale sul lavoro delle donne, insomma, ci sono tutti i presupposti per innescare diverse spinte positive, capaci di contribuire allo sviluppo del Paese e di favorire, quindi, senza distinzione tutti i cittadini e tutte le cittadine.
Senza dubbio gli effetti reali andrebbero, poi, valutati considerando la portata concreta dell’intervento, da definire chirurgicamente in base al contesto specifico. Lo studio “Gender Based Taxation and the Division of Family Chores” di Alesina e Ichino, che delinea i contorni della gender tax, per sua natura si ferma solo alla teoria.
Ed è proprio questo il punto: se da un lato, sulla carta, i benefici sull’occupazione femminile sembrano essere fuori discussione, dall’altro l’ipotesi di passare dalla teoria alla pratica di una tassazione agevolata solo per le donne fa emergere alcuni aspetti critici.
Il primo è di stampo sociale: la proposta di una gender tax si concentra solo sulle famiglie tradizionali e non considera una serie di modelli familiari che non rientrano nello schema moglie, marito, figlie e figli, come le coppie omosessuali o i nuclei composti da una sola persona.
Emergono, poi, anche questioni costituzionali: sotto osservazione sono l’articolo 3, che sancisce il principio della parità, e l’articolo 53 che impone ai cittadini e alle cittadine di contribuire alle spese pubbliche in base alla capacità contributiva e al sistema fiscale di rispettare i criteri di progressività.
In altre parole tutte e tutti sono chiamati a contribuire allo stesso modo, secondo le stesse regole, in base alle loro possibilità.
Alleggerire il peso del fisco in base al genere per molti rappresenterebbe una discriminazione positiva contraria ai principi di parità. D’altro canto, però, è lo stesso articolo 3 a prevedere la necessità di rimuovere gli ostacoli che impediscono l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Il dibattito sul punto è aperto e ricorrente in relazione all’ipotesi di agevolazioni destinate a categorie specifiche.
In questo caso, però, la soluzione ci sarebbe ed è quella di un trattamento di favore per il secondo percettore di reddito che di solito in Italia è donna.
In altre parole si tratterebbe di mettere in campo un’agevolazione fiscale per colui o colei che intraprende la strada lavorativa in seconda battuta, superando però le distinzioni di genere.
Questa diversa formulazione recentemente ha trovato spazio anche nei lavori preparatori della riforma fiscale portati avanti dall’Esecutivo Draghi. Ma con la crisi politica del 2022 è cambiato il Governo e anche l’impostazione del progetto di revisione del sistema di tassazione.
Dopo oltre 15 anni da un lato persiste il dibattito sulle criticità legate all’ipotesi di una gender tax e dall’altro si fa sempre più forte l’esigenza di una terapia d’urto per favorire l’occupazione femminile.