Il ministro nel corso della sua informativa: "Vogliamo invertire rotta. Nessuno degli impegni presi è stato mantenuto". E attacca: "Richiesta Mittal su governance inaccettabile e impercorribile"
Urge un intervento drastico. Ne è convinto il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, che - nel corso della sua informativa al Parlamento sulla grave crisi dell'ex gruppo Ilva - ha detto: "Noi vogliamo invertire rotta cambiando equipaggio e delineando in piano siderurgico nazionale sulla base di 4 poli per una progressiva modernizzazione degli impianti esistenti".
"Noi ci crediamo e ci impegniamo a ricostruirla competitiva sulla tecnologia green. L'impianto è in una situazione di grave crisi: nel 2023 la produzione si attesterà a meno di 3 mln di tonnellate, come nel 2022, ben sotto l'obiettivo minimo che avrebbe dovuto essere di 4 mln, per poi risalire nel 2024 a 5 mlilioni di tonnellate. Nulla di quanto programmato e concordato è stato realizzato; nessuno degli impegni presi è stato mantenuto né su occupazione né sul rilancio industriale. In questi anni la produzione è stata progressivamente ridotta in spregio ad accordi sottoscritti. E perfino in quegli anni in cui la produzione era profittevole in Europa la produzione è stata mantenuta bassa lasciando campo libero ad altri attori stranieri", accusa ancora.
"Sono ore decisive per garantire, nell'immediato, in assenza di impegno del socio privato, la continuità della produzione e la salvaguardia dell'occupazione, nel periodo necessario a trovare altri investitori di natura industriale", prosegue Urso rivolto al Parlamento ribadendo "l'urgenza di un intervento drastico che segni una svolta netta rispetto alle vicende per nulla esaltanti degli ultimi 10 anni".
D'altra parte, prosegue ricordando l'intervento del 2029 del governo Conte, "nessuno che avesse a cura l'interesse nazionale avrebbe mai sottoscritto quel tipo di accordo. Nessuno che abbia conoscenze delle dinamiche industriali avrebbe accettato mai quelle condizioni", accusa ribadendo come la nascita di Acciaierie d'Italia con l'ingresso di Invitalia al 38% avvenne "con la sigla di patti parasociali fortemente sbilanciati a favore del soggetto privato. Patti che definire leonini è un eufemismo". La governance infatti, sintetizza, "era rimasta di fatto rimasta nelle mani del socio privato che nel frattempo però deconsolidava l'asset, a dimostrazione del proprio disimpegno, richiamando anche i propri tecnici e non immettendo più alcuna risorsa nell'azienda", sottolinea.
La richiesta di A.Mittal per un controllo condiviso sulla governance anche in una posizione di minoranza "non è accettabile né percorribile soprattutto alla luce delle regole sugli aiuti di Stato", ha detto ancora Urso chiudendo alle aperture profilate dalla multinazionale franco indiana per proseguire la joint venture in Acciaierie d'Italia nel corso del dibattito parlamentare.
"Il socio privato davanti alla richiesta di un impegno finanziario pro-quota ha detto chiaramente che non aveva nessuna intenzione di immettere alcuna risorsa persino se la sua quota dovesse scendere al 34 %. AMittal condivide dunque l'eventualità di diluire la sua quota ma non quella di contribuire finanziariamente in ragione della propria quota rivendicando in ogni caso un controllo paritario sulla governance, cosi da condizionare ogni decisione", ha concluso