L'ex premier alla presentazione del libro di Aldo Cazzullo: "Expo 2030? Solo 17 voti a Roma, non so perché ma non credo a complotti universali"
Quello fatto "con l'allargamento dell'Unione Europea senza modificare le regole che funzionavano quando eravamo dodici membri è stato un errore colossale". Lo ha sottolineato l'ex premier Mario Draghi durante la presentazione del libro di Aldo Cazzullo 'Quando eravamo padroni del mondo', edito da HarperCollins, spiegando che "occorre iniziare da una integrazione politica" dell'Unione "con un Parlamento che sia veramente un Parlamento dell'Europa".
"Il modello di sviluppo europeo si è dissolto: occorre reinventarsi con un modo diverso di crescere - aggiunge - a differenza che in passato occorre 'diventare Stato'". Persino i risultati già raggiunti sono discutibili: "Ad esempio in teoria abbiamo un mercato unico, ma abbiamo decine di Agenzie per i farmaci", ha ricordato. Draghi ha posto l'accenno sul ruolo che può avere la costruzione di una difesa comune perché "avere una difesa coordinata significa una politica estera coordinata: non basta mettersi d'accordo intorno a un tavolo perché comunque i ministri degli Esteri non riescono neppure a mettersi d'accordo" come visto durante le ultime crisi.
L'ex premier ha osservato tuttavia come "oggi l'unione fiscale sia meno importante di 10 anni fa perché con la moneta unica i paesi sono diventati molto più simili" dal punto di vista industriale. "E poi - ha concluso con un riferimento ironico al 'whatever it takes' - "a partire da una certa data la Bce ha fatto da stabilizzatore dei mercati...".
"Non siamo riusciti ad avere l'Expo a Roma, ma non conosco l'intera storia: non so perché abbiamo preso solo 17 voti e non so cosa direbbe Cesare", ha poi sottolineato l'ex premier, aggiungendo però di non credere a "complotti universali". D'altronde, ha ricordato "tutto il mondo vuole l'Expo e in fondo noi l'abbiamo appena avuto" con Milano nel 2015.
Nel futuro scenario mediorientale "l'Europa dovrà essere presente non solo finanziando l'Onu da lontano, ma fare qualcosa di più di quanto ha fatto finora" ad esempio in Ucraina, ha sottolineato l'ex premier. "Non basta mettere molto denaro: necessariamente ci sarà un ruolo per il coinvolgimento dell'Europa, coinvolgimento che però ovviamente non sarà militare visto che siamo deboli e non credibili mentre ci sarà una grande richiesta di una presenza umanitaria". Draghi ha osservato come la situazione a Gaza presenta "una sorpresa dopo l'altra, come quella di oggi con il prolungamento della tregua".
Ma l'incontro ha permesso a Draghi anche un inevitabile confronto fra il grande passato di Roma e il suo modello 'imperiale' e la realtà moderna. Quello dell'impero romano - ha ricordato - "è un modello di società 'aperta', fatto di immigrazione, integrazione, assimilazione, di grande mobilità delle persone" ma non "dovremmo prendere esempio" da questo modello per "cercare legittimazione per un modello che abbiamo in mente", ha detto Dragi, ricordando che "tutti i potenti hanno cercato legittimazione nell'Impero romano". Ma - ha ammonito - "non ci si deve rivolgere alla Storia come un aiuto" anche perché quello di costruzione dell'identità dell'Impero Romano "è un processo di apertura che prende molti secoli".
Citando un verso di Eugenio Montale, - 'La storia non è magistra di nulla se ci riguarda' - Draghi ha spiegato che "cercare la legittimazione nella storia e' un esercizio pericoloso" anche perché si ragiona "su un contesto storico diverso, anteriore alla formazione dello stato moderno che si definisce anche attraverso l'esclusione degli altri".
Draghi ha ricordato che quello di una 'apertura' "è stata una necessità per un impero come quello romano: il problema di gestire i popoli conquistati risale all'impero e i romani capiscono che bisogna investire nella periferia, tant'è che alcune opere realizzate alla periferia sono piu' grandi di quanto costruito a Roma".
Ma l'incontro ha anche aperto un inedito 'squarcio' sulla romanità dell'ex presidente della Bce. "Quello con la mia città - ha spiegato - è un rapporto che è cambiato, allora Roma era una città molto diversa, da ragazzi passavamo per strada molto piu' tempo di quanto si possa immaginare oggi. La narrativa quotidiana risentiva della guerra che era finita da pochi anni, ma a 8 anni con mio fratello e mia sorella si andava a scuola da soli e finita la scuola giocavamo in strada, conoscevamo tutti i palazzi e tutti i passaggi. C'era chiaramente la sensazione che il paese stesse rinascendo. Sono andato via a 23 anni e sono tornato molti anni dopo ma mi piace ricordare che la Roma degli anni Sessanta era molto dinamica anche socialmente (come quella dell'impero con schiavi che diventavano capi dell'esercito). A Roma oggi mancano tante cose, ma l'importante è non perdere la fiducia"
Un accenno infine alla sua fede giallorossa: "Il mio rapporto con la Roma è quello di un tifoso che non va allo stadio da 30-40 anni, mentre ci andavo da ragazzo quando non c'erano i posti assegnati e si andava ore prima della partita" per trovare la posizione migliore. Così Draghi torna a confessare la sua fede giallorossa, lamentando che poi però "alla fine vinceva sempre una certa squadra di Torino..."