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Bankitalia, le parole di un Panetta 'europeista' e 'draghiano'

Il Governatore dice diverse cose che contano, molte guardano a Bruxelles a pochi giorni dalle elezioni europee

Fabio Panetta e Paolo Gentiloni
Fabio Panetta e Paolo Gentiloni
31 maggio 2024 | 18.52
LETTURA: 3 minuti

Fabio Panetta è alle sue prime Considerazioni Finali da Governatore di Bankitalia. Raccolto il testimone da Ignazio Visco a novembre scorso, parla alla platea di Via Nazionale a pochi giorni dalle elezioni europee. Lo attendono banchieri, ospiti, commentatori e analisti, pronti a leggere nelle sue parole cambiamenti di rotta rispetto al passato e indicazioni più o meno esplicite che possano essere in qualche modo interpretate come un segnale 'politico', inteso in senso alto, come una direzione verso cui orientare l'azione pubblica. E il tratto principale che si può rintracciare è quello 'europeista', coerente con la sua storia professionale e con l'approccio che ha avuto in questi primi mesi alla guida di Palazzo Koch.

Se proprio si vuole paragonare l'analisi di Panetta a quella dei suoi predecessori, emergono alcuni elementi 'draghiani'. Non tanto del Mario Draghi Governatore, ormai troppo lontano nel tempo per un confronto che regga, quanto dell'ultimo Draghi, quello che richiama l'Europa alla necessità e all'urgenza di cambiare.

Panetta, com'è nelle sue prerogative, sceglie un approccio pragmatico per arrivare a una conclusione che ha un peso rilevante guardando a quello che potrà e dovrà essere l'Europa nella prossima legislatura: "È necessario, nell’interesse collettivo, realizzare iniziative a livello europeo". Serve, in sostanza, più Europa perché solo l'Europa può mettere sul tavolo le risorse, ingenti, che servono. Il ragionamento di Panetta, drasticamente sintetizzato, è che più Europa conviene a tutti.

"Politiche comuni sono necessarie nel campo ambientale, della difesa, dell’immigrazione, della formazione", dice, evidenziando che "l'impegno finanziario sarà ingente: per le sole transizioni climatica e digitale e per aumentare la spesa militare al 2% del Pil, la Commissione europea stima un fabbisogno di investimenti pubblici e privati di oltre 800 miliardi ogni anno fino al 2030". Perseguire un piano così vasto a livello nazionale, spiega subito dopo, "comporterebbe duplicazioni di spesa e la rinuncia alle economie di scala. Incontrerebbe ostacoli nella capacità fiscale di più Paesi, con il rischio di compromettere la necessaria ampiezza dell’impegno e di accentuare la frammentazione del mercato unico". Non solo. "Poiché molti progetti riguardano beni pubblici comuni quali l’ambiente e la sicurezza esterna, un ammontare di investimenti insufficiente danneggerebbe tutti i paesi e tutti i cittadini dell’Unione".

Qual è, quindi, la via maestra? "Un bilancio europeo consentirebbe di definire l’orientamento fiscale complessivo non più come la somma delle politiche nazionali, ma in base alle esigenze dell’economia dell’area; permetterebbe di affrontare efficacemente shock comuni forti e prolungati, quali la pandemia o la crisi energetica, favorendo la coerenza tra politica di bilancio e politica monetaria". Serve anche il mercato. "Sarebbe illusorio pensare di finanziare l’enorme volume di investimenti necessari per la competitività dell’economia europea senza un preponderante apporto del risparmio privato e senza la professionalità degli intermediari". Conseguenza diretta, "un mercato dei capitali europeo è dunque essenziale". Servono però due elementi che ancora mancano all'appello: "un titolo europeo privo di rischi" e va superata "l'incompletezza dell'Unione bancaria". C'è molto Draghi nel Panetta 'europeista'. (Di Fabio insenga)

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