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Omicidio Sharon Verzeni, i testimoni che hanno incastrato Sangare: "Una smorfia ed è fuggito"

Parlano i due giovani decisivi per le indagini: "L'unico rimpianto è non aver potuto fare qualcosa per lei"

Il luogo del delitto di Sharon Verzeni - Adnkronos
Il luogo del delitto di Sharon Verzeni - Adnkronos
31 agosto 2024 | 09.28
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Due testimoni sono stati determinanti per risolvere il caso dell'omicidio di Sharon Verzeni e per accendere i riflettori su Moussa Sangare, il 31enne di origini nordafricane che ha confessato il delitto della barista 33enne, uccisa nella notte tra il 29 e il 30 luglio a Terno d'Isola, in provincia di Bergamo.

"L'unico rimpianto è non aver potuto fare qualcosa per salvare Sharon. Se fossimo stati più vicini al luogo dell’omicidio, forse avremmo potuto salvarla", dicono aa 'Repubblica' i due giovani italiani di origine marocchina che con la loro testimonianza hanno dato un aiuto decisivo per arrivare a Moussa Sangare, raccontando ai carabinieri di quell’uomo di origine africana in bicicletta che avevano incrociato la notte dell’omicidio.

La ricostruzione

Nella notte dell'omicidio "io mi sto allenando per il titolo italiano di kickboxing, ho l'incontro il prossimo 21 settembre. Lui gioca a calcio in prima categoria. Quella sera eravamo usciti come al solito molto tardi per allenarci - hanno detto - Era più o meno mezzanotte, eravamo a Chignolo vicino alla farmacia e davanti al cimitero dove ci siamo fermati per fare delle flessioni. A quel punto sono passati due nordafricani in bicicletta, poi un terzo. Lui ci è rimasto impresso, perché era un po' strano. Aveva una bandana in testa e un cappellino, uno zaino e gli occhiali. Ci ha fissato a lungo e poi ci ha fatto una smorfia. Non lo avevamo mai visto prima".

"Abbiamo raccontato di quel ragazzo quando siamo stati chiamati in caserma. Siamo rimasti sorpresi, non abbiamo mai pensato che l’assassino potesse essere lui - hanno aggiunto - Anche se si vedeva che era uno che non stava bene. Abbiamo provato comunque un grande sollievo, perché non avevamo saputo più nulla sulle indagini. Ora ci sentiamo orgogliosi per essere stati utili all’identificazione dell’assassino".

"Il rimpianto che ci resta è di non aver potuto fare qualcosa per Sharon. Non essere stati più vicini a via Castegnate. In quel caso forse avremmo potuto salvarla. Magari l’assassino ha visto una preda facile, come quei due ragazzini che voleva aggredire. Quando ha incrociato noi, invece, ci ha solo guardato male ed è andato avanti".

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