Uno dei due, sentito dai carabinieri, ha confermato la versione di Moussa
Sono stati identificati dai carabinieri del comando provinciale di Bergamo i due ragazzini, minacciati da Moussa Sangare, prima dell'omicidio di Sharon Verzeni la notte tra il 29 e il 30 luglio scorsi. A quando si apprende da fonti qualificate, si tratta di due quindicenni italiani di Chignolo d'Isola, il paese vicino a Terno d'Adda, dove si è consumato l'omicidio. Uno dei due è stato sentito dai carabinieri, a cui ha confermato di essere stato minacciato con il coltello da Sangare.
Sangare ha vagato per oltre mezz'ora per i paesi della bergamasca prima di scegliere "il bersaglio più vulnerabile", dopo una serie di tappe: prima ha minacciato i due ragazzini, poi, ha puntato una persona in un'auto e altri due uomini. Ha anche fatto qualche 'prova di sgozzamento' su una statua di donna a Terno d'Isol, ma è solo quando ha visto Sharon che ha deciso di agire. L'assassino reo confesso cercava il "bersaglio giusto, alla fine individuato nella povera Sharon Verzeni", una "donna sola", che lui descrive "come intenta a guardare le stelle". La vittima è stata uccisa "nella più totale assenza di qualche comprensibile motivazione, in maniera del tutto casuale, assolutamente gratuita, per non dire addirittura capricciosa".
Sangare "aveva architettato come passatempo quello di lanciare coltelli a una rudimentale sagoma di cartone, con apposto alla cima un cuscino su cui era disegnato un volto umano" e secondo il Gp è stato "assalito dal desiderio di provare realmente emozioni forti, in grado di scatenare nel suo animo quella scarica di adrenalina che ha cercato di descrivere, seguita da uno stato di benessere e relax".
Durante la prima confessione, a un mese esatto dall'omicidio, il 30enne ha riconosciuto di essersi "pentito di aver fatto quella cosa là", ma "purtroppo è capitato, è passato un mese, piangere non posso piangere, non ti puoi buttare giù altrimenti non ti rialzi più", ha aggiunto in rima, sottolineando che in quello che ha fatto "c'era anche una zona di comfort".
La sera dopo l'omicidio, infatti, il 30enne ha partecipato a una grigliata con degli amici, prima ancora di sbarazzarsi dell'arma del delitto, ritrovata sotterrata vicino all'Adda con "evidenti tracce ematiche", e degli abiti indossati quella notte. "Purtroppo è capitato" ha detto, poi, rispondendo al gip Raffaella Mascarino in un altro interrogatorio nel carcere di Bergamo.
Durante l'interrogatorio Sangare ha raccontato della sua passione per i coltelli, precisando che però "concettualmente gli piacciono di più le armi da fuoco", che non ha mai usato, "perché con i coltelli ti puoi tagliare". Nel mese trascorso tra l'omicidio e il fermo, il 30enne si sarebbe informato sugli sviluppi dell'indagine, senza però sentirsi mai braccato dagli investigatori. L'uomo ha tenuto il coltello come un ricordo.
"Non l'ho buttato nel fiume perché ho pensato che avrei potuto trovarlo ancora lì" ha risposto alla gip Raffaella Mascarino che gli chiedeva come mai lo avesse sotterrato sulle sponde dell'Adda, mentre gli altri tre li ha buttati nel fiume. "Volevo tenerlo per avere memoria di quello che avevo fatto, come un ricordo" ha ammesso.