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Necci, la figlia Alessandra: "Ideò l'Alta velocità e lottò contro svendita Italia ma fu lasciato solo"

la storica e scrittrice ricorda il padre Lorenzo a 15 anni dalla morte: "Sconfitto da interessi"

Lorenzo Necci con la figlia, la scrittrice Alessandra Necci
Lorenzo Necci con la figlia, la scrittrice Alessandra Necci
27 maggio 2021 | 18.17
LETTURA: 7 minuti

"Nell’ultima parte della sua vita, mio padre diceva che avrebbe voluto intitolare la sua autobiografia Sinn Fein, 'Io da solo', il motto degli irredentisti irlandesi. Ed era particolarmente amara, tale consapevolezza, da parte di un uomo che per anni era stato circondato da pletore di persone, a volte sinceramente partecipi del suo disegno riformatore, altre volte solo desiderose di arraffare privilegi e vantaggi. Ma il tradimento, l’ingratitudine, fanno parte della natura umana, della tragedia del potere. E la Storia la scrivono i vincitori, o forse solo coloro che sopravvivono. Resta il fatto che Lorenzo Necci aveva un’idea alta di Italia, di 'Progetto Paese', che ha portato avanti non solo nella sua vita professionale e pubblica, ma in quella privata. Un’idea generosa che cercato di trasmettere a noi tutti: alla famiglia, ai suoi amici, ai collaboratori. Un’idea che in lui è stata viva e forte sino alla fine. Soffriva per le ingiustizie che gli avevano fatto subire, ma non si arrendeva, non cedeva allo sconforto, non scivolava mai nel cinismo né nella facile disillusione". Così all'Adnkronos la storica e scrittrice Alessandra Necci ricorda il padre Lorenzo Necci, manager di grande capacità progettuale che ha operato nelle più grazie aziende italiane, a 15 anni dalla scomparsa, avvenuta il 28 maggio 2006.

"Immaginava un’Italia al centro dell’Euromediterraneo, capace di ricoprire un ruolo leader in Europa, dotata di un’infrastrutturazione integrata a 360 gradi, di un sistema industriale forte, di una politica forte. Un’Italia attenta ai 'Valori', più che al 'Valore'. In cui ci fossero libertà e responsabilità, perché l’una senza l’altra non può esistere. Lavorava per 'accorciare le distanze', avvicinare le persone e i popoli - ricorda la scrittrice - Si è battuto contro la svendita del sistema Paese, ha scritto con Gianluigi Da Rold un libro dal titolo L’Italia svenduta e molti articoli sull’argomento. Aveva in mente, per esempio, una grande chimica nazionale. Ora non c’è più o quasi una chimica italiana, non nel senso in cui la intendeva lui. E non ci sono più molti gruppi che avevano fatto grande il paese nel mondo".

"Ma il modello che aveva in mente si scontrava con molti interessi - sottolinea Alessandra Necci - E alla fine Lorenzo Necci fu sconfitto dalla resistenza di una ragnatela di interessi, ed espulso con estrema violenza dalla scena. Perché in effetti, aldilà dei grandi consensi che suscitava - una sua intervista sul Financial Times di fine anni ’80, quando era a capo di Enichem e poi di Enimont, si intitolava Tranquil weaver of consensus, 'Pacato tessitore di consensi' - dell’apprezzamento che ancora gli viene tributato, era un uomo privo di appartenenze a gruppi di potere. E quindi, un uomo solo. Questo, in un mondo come il nostro, si può pagare molto caro. Non è il solo ad aver patito tale destino. Il Presidente Cossiga mi scrisse dopo la sua scomparsa che 'Aveva dato tanto al Paese, ma il Paese gli aveva dato tanto poco'".

"Lorenzo Necci era figlio di un’Italia meritocratica, che investiva nella formazione, nella preparazione, che credeva nel futuro e nell’impegno individuale e collettivo - prosegue Alessandra Necci -: suo padre era un ferroviere di Fiuggi e lui è stato l’uomo che ha ideato l’Alta Velocità e ripensato il Sistema infrastrutturale. Capace di prendere due lauree, imparare perfettamente diverse lingue straniere, tessere rapporti internazionali ad alto livello, trovarsi a proprio agio in ogni parte del mondo. Local and Global anzi tempo. Ancora, era un 'visionario', un uomo capace di guardare lontano, di immaginare il futuro. Leggere i suoi scritti oggi fa impressione, perché sono attualissimi. Anzi, molte delle cose che elencava come 'emergenze' non sono ancora state fatte. Ma vedeva troppo a fondo e troppo lontano, per cui era troppo avanti. E non fu capito. O forse, fu capito anche troppo bene. E per questo combattuto con una violenza, una pretestuosità e una brutalità che ha rari esempi analoghi".

"Ė un paradosso tipicamente nostrano - osserva la scrittrice -: siamo un paese meraviglioso, ricco di talenti incomparabili, di persone straordinarie, eppure c’è un fondo 'antimeritocratico', che non perdona il merito né il successo. Perché? Da storica me lo sono chiesta tante volte. Credo che possa aiutare la rilettura dell’Italia dei Comuni e delle Signorie, ma soprattutto del Rinascimento. Eccellenze in ogni campo, ma nessuna capacità di 'fare sistema', di unirsi in nome di un 'Progetto Paese'. Dal Rinascimento si capisce l’Italia del Novecento e di oggi. Il 'particulare' di cui parlava Guicciardini - concetto ripetuto anche da mio padre - prevaleva sempre sull’interesse generale. La 'grande bellezza', il genio a fianco della violenza, delle divisioni, delle guerre".

"L’Italia in cui è cresciuto e vissuto mio padre, che era nato nel ’39 a Fiuggi, non c’è più. Non ci sono più quei valori, quegli uomini e quelle donne - ragiona Alessandra Necci - Il mondo laico, del quale era autorevole esponente, essendo stato vicino a Ugo la Malfa e poi a Giovanni Spadolini, non esiste più. Era 'un’altra Italia' e ha perso. La 'Prima Repubblica', pur con tutti i suoi limiti, è stata quella che ha portato l’Italia fuori dalle macerie del dopoguerra e ha permesso di sprigionare grandi energie a livello politico, economico, industriale e sociale. Non a caso si ricorda ancora 'L’Italia del boom', il cui simbolo resta l’Autostrada del Sole, un’infrastruttura. La cesura sta nel modo brutale e anomalo con cui questa repubblica è crollata e sulla difficoltà - se non impossibilità - di ricreare una classe dirigente. In quella fase di transizione, mio padre ha cercato di portare avanti un progetto politico (basti pensare al cosiddetto 'tentativo Maccanico'), infrastrutturale, industriale ed economico, ma la cornice era diversa da quella precedente e lui è stato alla fine eliminato dalla scena. E gli è stato impedito con ogni mezzo di risalire la china".

"Da allora, nonostante promesse, dichiarazioni di intenti e buone intenzioni, il paese ha conosciuto una sostanziale decadenza - aggiunge la storica - Manca quasi del tutto una classe dirigente; manca la politica, l’industria. Molte delle cose che Lorenzo Necci ha scritto e detto restano da fare, a cominciare dall’infrastrutturazione completa della penisola. La Tav, da lui ideata e voluta, era infatti solo la tessera di un mosaico molto più ampio, a livello di Reti. Parlava di 'grandi imprese di servizi', di terziario, di artigianato, di energia, di commodity come l’acqua, di 'sud in rete', di 'banda larga' e molto altro. Aveva previsto e studiato l’Information Tecnology, l’importanza crescente del mercato (da cui l’Italia, diceva, era rimasta fuori), la Globalizzazione, l’Europa che sarebbe emersa. I suoi libri sono decaloghi, oltre che di scenari".

"Non so, a essere sincera, se la sua visione meritocratica avrebbe maggiori o minori possibilità oggi. Bisogna dire, però, che la crisi pandemica e la fase post-pandemica possono essere un’occasione di rilancio, se ben utilizzate. Da tutte le crisi possono nascere grandi opportunità. Mi pare che sia quello che si sta provando a fare", prosegue Necci con una nota di ottimismo.

"Dalla vicenda di mio padre si possono trarre insegnamenti di natura molto diversa - osserva Alessandra Necci - Qualcuno può leggerla come un invito alla prudenza, e al 'pensare a sé, a salvarsi'. Pur tuttavia, io continuo a credere che il suo esempio e il suo insegnamento vadano in un altro senso. Che il merito possa trovare uno sbocco; che tenacia, determinazione, preparazione riescano ad avere un riconoscimento non solo all’estero ma nel Belpaese. Il coraggio, la generosità, l’impegno che richiedono le passioni sono ciò che rende una vita degna di essere vissuta".

"Una frase del Presidente americano Teddy Roosevelt dice: 'Non è lo spirito critico, a contare … l’onore va tutto all’uomo che è nell’arena… che mette sé stesso al servizio di una giusta causa, che nella migliore delle ipotesi arriva a conoscere il trionfo delle grandi conquiste; nella peggiore, se fallisce, fallisce avendo grandemente osato, per cui il suo posto non potrà mai essere accanto a quegli spiriti freddi e vili che non conoscono né la vittoria né la sconfitta' - sottolinea ancora la scrittrice - Per seguire il proprio 'daimon', il 'demone interiore', occorrono coraggio, generosità, tenacia e passione. Solo così si trova il proprio posto nel cerchio dell’esistenza, sia lascia una piccola traccia del proprio passaggio. Bisogna impegnarsi per migliorare le cose. Ė quello che ripeto sempre a mio figlio. Altrimenti, cosa resta?".

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