Il 28enne eritreo era in regime di 'grandissima sorveglianza' e doveva essere controllato ogni 15 minuti. Indagato anche un altro agente
Sospensione dal servizio per sei mesi per un agente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Regina Coeli a Roma. La misura interdittiva è stata disposta dal gip Maria Gaspari dopo l’inchiesta sulla morte di un detenuto di 28 anni di origine eritrea che si è suicidato nel penitenziario di via della Lungara il 29 giugno dell’anno scorso. Il giovane aveva fatto ingresso nel carcere il 12 novembre 2021 ed era stato inquadrato come soggetto psichiatrico a rischio per la propria incolumità. Il detenuto era stato collocato in diversi reparti della casa circondariale e sottoposto al regime della sorveglianza a vista a causa di numerosi episodi di autolesionismo e due tentativi di suicidio, a dicembre 2021 e ad aprile 2022. L’agente, di 33 anni, è accusato di rifiuto di atti d’ufficio, morte in conseguenza di altro reato e falso.
Secondo quanto accertato dalle indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, il giorno del suicidio, il 28enne, impiccatosi con un lembo del lenzuolo al montante della porta, era sottoposto al regime di ‘grandissima sorveglianza’ con obbligo di controlli del personale di polizia penitenziaria "cadenzato ogni 15 minuti". L’analisi dei documenti acquisiti e dei filmati estrapolati dalle telecamere di videosorveglianza a circuito chiuso "hanno consentito – scrive il gip – di accertare che il personale della polizia penitenziaria aveva omesso i dovuti controlli di sicurezza" e dopo il ritrovamento del cadavere "aveva cercato di coprire le omissioni falsificando il registro dei controlli". Gli accertamenti hanno quindi permesso di appurare che il detenuto non era stato controllato per circa 5 ore e che l’agente della penitenziaria ora sospeso era stato l’ultimo a chiudere il ‘blindo’ della cella. In base a quanto ricostruito dalle indagini, nella stessa mattinata, il poliziotto aveva redarguito il detenuto ed entrando nella cella aveva finto di buttargli addosso un bicchiere d’acqua e un materasso.
Insieme al poliziotto sospeso, nell’inchiesta è indagato un altro agente, in servizio nel turno successivo che, interrogato, ha ammesso di non aver effettuato il controllo nella stanza occupata dal detenuto eritreo perché "rientrato in servizio dopo alcuni giorni di assenza aveva trovato il blindo chiuso e non avendo udito alcun rumore provenire dalla stanza aveva presunto che il detenuto fosse stato trasferito". Una circostanza che emerge anche da un’intercettazione in cui l’agente, dopo essersi lamentato del fatto che il suo collega non gli avrebbe passato adeguatamente le consegne, omettendo di segnalargli la chiusura del blindato esterno della cella, chiuso a seguito delle intemperanza del detenuto e accusandolo di averlo indotto in errore, diceva: "Ma io vedendo quel blindo chiuso…e non sentendo rumore…niente proprio, io ho pensato…l’hanno spostato".
Secondo il gip, il poliziotto sospeso dal servizio, aveva piena consapevolezza "del pericolo concreto derivante dal chiudere nella stanza un soggetto con problemi psichiatrici acclarati" peraltro "impedendo così il controllo anche agli altri agenti e a chiunque fosse entrato nel reparto". Successivamente alla scoperta del suicidio "immediatamente dopo e a distanza di giorni si è preoccupato soltanto di precostituire elementi a suo favore attestando il falso sul registro e non mostrando alcuna consapevolezza della gravità della sua condotta" e né alcun segno di pentimento.