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Medicina: dagli Usa l'identikit della placca più insidiosa per il cuore

Medicina: dagli Usa l'identikit della placca più insidiosa per il cuore
19 marzo 2017 | 14.19
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Una nuova ricerca sulle placche aterosclerotiche mette in luce il ruolo, finora rimasto un po' nell'ombra, di un insidioso nemico del cuore. In genere infatti, spiegano dall'Acc2017 in corso a Washington i ricercatori dell'Intermountain Medical Center Heart Institute di Salt Lake City, si riteneva che le placche 'molli' presenti nelle arterie fossero più a rischio di rottura e, quindi, principali 'colpevoli' nel provocare un attacco cardiaco. Ma questa idea potrebbe essere sbagliata. "Sulla base delle nostre ricerche è invece la placca più calcificata", e dunque più 'dura', "ad essere associata ad eventi avversi cardiovascolari", spiega Brent Muhlstein, autore dello studio che ha tracciato l'identikit della placca più pericolosa.

I ricercatori del suo team, insieme a colleghi della Johns Hopkins e dei National Institutes of Health, hanno 'guardato' all'interno dei vasi analizzando la composizione delle placche di 224 pazienti con diabete ma senza sintomi cardiovascolati. I pazienti sono stati seguiti in media per 7 anni, per vedere se la composizione delle placche fosse utile a prevedere il rischio di un evento cardiovascolare.

Con un esame ad hoc, i ricercatori hanno diviso il gruppo in base alla presenza e alla proporzione nelle loro coronarie di placche molli, calcificate e fibrose, confrontando poi questo elemento con il futuro rischio di angina instabile, attacco cardiaco o morte. Ebbene, sorprendentemente per i ricercatori un'elevata presenza di placche calcificate si è rivelata associata al rischio di eventi cardiovascolari maggiori. Al contrario di quanto è accaduto con le placche 'molli'.

Ulteriori studi sono necessari per confermare questo risultato, che però secondo gli studiosi potrebbe aprire la strada a un cambio di paradigma. "Vogliamo condurre altri studi, anche per capire perché lo 'score' di placche calcificate è così predittivo", spiegano. Non solo: comprendere appieno questo elemento potrebbe rivelarsi utile per un trattamento ancor più mirato ed efficace dei pazienti ritenuti più a rischio.

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