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Covid, mix vitamina D e Lattoferrina efficace in prevenzione: lo studio

Ricerca italiana ha valutato l'azione sinergica dei due integratori

(Fotogramma)
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06 dicembre 2022 | 19.05
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L’uso combinato di vitamina D e Lattoferrina efficace nella prevenzione e il contrasto all’infezione da Coronavirus. Il risultato emerge da uno studio italiano, pubblicato sulla rivista scientifica ‘Word Journal of Clinical Cases’, firmato da Massimiliano Cipriano, Enzo Ruberti e Marcos Roberto Tavani-Palone. Il team di ricercatori, infatti, ha sperimentato come l’azione sinergica della vitamina D e della Lattoferrina si riveli più efficace rispetto alla somministrazione separata e l’analisi sul campo ha dimostrato come l’utilizzo congiunto dei due integratori, sotto i riflettori in tempo di pandemia, sia uno strumento efficace nella difesa e profilassi dell’infezione, creando un ‘effetto onda’ che aggredisce la frontiera.

"Qui la clessidra cambia: è stato valutato come l'azione sinergica dei due integratori possa costituire un valido ed efficace supporto terapeutico nella prevenzione e nel contrasto da Coronavirus”, spiega Massimiliano Cipriano, ricercatore dell’Università La Sapienza di Roma. In pratica “l’associazione delle due molecole determina, oltre agli effetti utili già noti in riferimento alle singole sostanze, un potenziamento dell’attività della vitamina D determinata dalla Lattoferrina, che ne aumenta l’espressione del numero dei recettori. Il risultato – rimarca Cipriano – è la messa a terra di una maggiore azione di contrasto alla diffusione del virus".

Nell'attuale panorama scientifico - affermano i ricercatori - è stata prestata "particolare attenzione al potenziale ruolo della Lattoferrina come adiuvante supplementare, sia in termini di prevenzione dell'infezione da SarS-CoV-2 che di trattamento della Covid-19, grazie alla sua capacità di interagire con diversi recettori. I risultati di recenti ricerche mostrano come l'ingresso cellulare del virus avvenga tramite interazioni ad alta affinità tra il dominio di legame del recettore (Rbd) della proteina spike SarS-CoV-2 e il recettore dell'enzima di conversione dell'angiotensina 2 (Ace2) dell'ospite umano”. Tuttavia, “per l'ingresso cellulare del virus, deve esserci anche l'interazione di SarS-CoV-2 con altre molecole, tra cui l'eparan solfato e le proteasi cellulari. "In particolare – precisa Cipriano – lo studio mostra come il legame della Lattoferrina con componenti cellulari (eparansolfati) e del virus (spike) possa impedire il primo contatto tra il virus e le cellule ospiti, prevenendo così la successiva infezione".

La Lattoferrina, dunque, spiega Cipriano, è in grado di svolgere due funzioni nei casi di infezione da SarS-CoV-2: "Da un lato 'sequestra' il ferro e le molecole infiammatorie che aumentano notevolmente durante la tempesta di citochine, dall'altro occupa i recettori (Ace2/Rbd) e gli Hspg, impedendo al virus di legarsi alle cellule ospiti”.

"Diversi studi hanno dimostrato che l'acido ribonucleico virale (RnA) nelle vie aeree superiori ha cariche virali più elevate che nella gola, sia nei pazienti sintomatici che in quelli asintomatici. Ciò suggerisce che l'epitelio nasale può essere un sito importante per l'infezione iniziale, agendo come un 'serbatoio chiave' per la diffusione virale attraverso la mucosa respiratoria”.

Alla luce di queste considerazioni, si ipotizza che il trattamento locale della mucosa nasale con Lattoferrina, che ha azione di barriera naturale, potrebbe contrastare la colonizzazione virale dell’epitelio respiratorio. "Tali risultati – tira le somme Cipriano - suggeriscono che la Lattoferrina potrebbe essere un integratore da utilizzare in pazienti sia asintomatici, sia lievemente sintomatici per prevenire l'esacerbazione di Covid-19. In questo senso, l’uso combinato di Lattoferrina, attraverso un’associazione di assunzione orale (in forma liposomiale) e una formulazione spray nasale, insieme alla vitamina D, potrebbe rappresentare una valida terapia per il trattamento e la prevenzione della malattia da Coronavirus. Sono, ad ogni modo, necessari ulteriori studi clinici randomizzati prima di raccomandarli per il trattamento e la profilassi dei pazienti affetti dall’infezione – conclude il ricercatore – ma questa è la via da percorrere".

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