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Nel libro ‘Non arrendiamoci’ (Rizzoli edizioni) l'appassionata discussione tra il presidente della Cei e il fondatore del Pd sulle ragioni per le quali non arrendersi a un mondo che appare sempre più disumano ma che può essere riscattato dalla nostra azione consapevole
Zuppi e Veltroni in dialogo sulla speranza. Dobbiamo rassegnarci alla tirannia dell'io, alla continua celebrazione dell'egoismo e dell'apparenza che si traduce in una somma di solitudini e nell'accettazione passiva delle cose come stanno? Il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, e Walter Veltroni, fondatore del Pd, scrittore e regista, ne hanno discusso nel libro ‘Non arrendiamoci’ (Rizzoli edizioni)’. In una appassionata discussione, l’osservatore laico e il porporato, che è anche arcivescovo di Bologna, spiegano le ragioni per le quali non arrendersi ad un mondo che appare sempre più disumano, ma che può essere riscattato dalla nostra azione consapevole.
“Il mondo è pieno di solitudine. - sottolinea Zuppi -. Non siamo mai stati così interconnessi, eppure non siamo mai stati così soli, e questo perché le reti in cui siamo immersi sono in realtà deboli e individualizzate. Tutti i giorni sperimentiamo con fatica la crisi delle relazioni familiari, le difficoltà a rapportarci con gli altri, la solitudine fisica indotta della realtà virtuale e quella più feroce generata dai social media. Ma noi possiamo e dobbiamo essere la famiglia per le persone sole. La nostra sfida può e deve essere quella di trasformare il deserto della solitudine, delle paure, in una foresta di relazioni".
Veltroni incalza: “Occorre radicalità delle intenzioni e realismo dell’attuazione, perché l’utopia di un mondo senza prigioni si sposa con l’utopia di un mondo senza mafia; e per combattere la mafia probabilmente abbiamo ancora bisogno del 41bis. Almeno, questo ci dicono tutti quelli che se ne occupano, e la storia mi sembra che lo confermi”.
Il fondatore del Pd allarga la riflessione al tema della pace: “Lo stesso vale per la pace. L’utopia della pace si deve sostanziare attraverso ciascun passo progressivo e necessario. In fondo, tutte le conquiste alle quali abbiamo accennato sono state costruite percorrendo millimetro per millimetro la strada, onorando ogni piccolo spazio che si apriva. L’utopia ha un ritmo, ha uno spartito che deve essere suonato. Strappare lo spartito dell’utopia, imporla senza realismo, in genere produce un bagno di sangue. E lo abbiamo visto, quando è successo”.
“A volte - osserva il cardinale Zuppi nel volume -ci si arrende, a volte sentiamo di non farcela e così finiamo col diventare cinici, troppo realisti. Ci si sistema per non cambiare più, anzi proprio per non cambiare. Ci si adegua oppure ci si autodistrugge”. Il punto, dice il porporato, è “essere realisti, ma non smettere mai di essere radicali, di pensare che il mondo vada cambiato; e proprio per questo è importante imparare a misurarsi con le proprie contraddizioni”.