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Dia e la malaria presa in Senegal, infettivologo: "Va fatta profilassi"

Nicastri (Spallanzani): "Purtroppo ancora oggi in Italia ci sono decessi legati a casi d'importazione"

Boulaye Dia - (Fotogramma)
Boulaye Dia - (Fotogramma)
15 novembre 2024 | 13.16
LETTURA: 1 minuti

L'attaccante della Lazio, Boulaye Dia, fermato dalla malaria in Senegal dove era arrivato per giocare con la sua Nazionale è l'ultimo caso di calciatori africani colpiti dalla malattia quando tornano in patria. A febbraio era finito 'Ko' Christian Kouamé, attaccante della Fiorentina, che era stato in Costa d'Avorio per la Coppa d'Africa.

"I giocatori africani che vivono in Europa e ritornano nei Paesi dove è endemica la malaria devono fare la profilassi perché hanno perso, vivendo per anni fuori dai Paesi d'origine, la semi-immunità all'infezione malarica. Meglio prendere una pasticca al giorno per la profilassi che rischiare di fare una malattia che può impedirgli di giocare per un po' di tempo. La profilassi non è obbligatoria, ma raccomandata, però ha una protezione molto alta (oltre il 95%) per la malattia e del 99% per la malaria grave", spiega all'Adnkronos Salute Emanuele Nicastri, direttore dell'Unità di Malattie infettive ad alta intensità di cura dell'Inmi Spallanzani di Roma.

"Ricordo il caso di Fausto Coppi, morto nel 1960 per malaria non diagnosticata all'inizio - prosegue Nicastri - Era andato in Africa, in Burkina Faso, e tornò con la malaria. Non aveva fatto la profilassi. Questo per dire che di malaria si può morire. Purtroppo ancora oggi in Italia ci sono decessi legati a casi d'importazione. L'indicazione è di fare la profilassi, e anche i calciatori dovrebbero farla perché una pasticca al giorno non incide sulle prestazioni sportive".

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