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Non solo l'8 marzo: "Quello che le donne non dicono? No, quello su cui le donne non vengono ascoltate"

Intervista a Giulia Blasi sulla condizione delle donne e il progresso italiano sulle pari opportunità.

Non solo l'8 marzo:
03 marzo 2022 | 17.59
LETTURA: 5 minuti

Giulia, come ti definisci?

È difficile dirlo senza passare dal lavoro che faccio, che è una cosa molto indicativa del tipo di società che faccio. Sono una scrittrice, o faccio la scrittrice? Tutt’e due le cose, probabilmente, dato che non ricordo un momento della mia vita in cui io non abbia avuto voglia di scrivere, o trovato nella scrittura una gioia, un rifugio e il modo migliore per riordinare i pensieri e comunicarli all’esterno.

Parlando della condizione delle donne: cosa c’è ancora da dire? Cosa le donne non dicono, ma vorrebbero dire?

Partiamo dal presupposto che c’è pochissimo che le donne davvero non dicono. Le donne parlano sempre, comunicano sempre, si spiegano sempre. Il problema è che vengono pochissimo ascoltate, perché il punto di vista delle donne non interessa. Le donne vengono sempre raccontate da altri, e il maschile sovraesteso non è usato a caso, perché la nostra cultura filtra tutto attraverso l’esperienza e lo sguardo maschile borghese, l’unico che conta. Se c’è una cosa di cui le donne hanno difficoltà a parlare, però, è quello che ha a che vedere con i corpi e la loro integrità. I corpi delle donne non appartengono davvero alle donne: sono proprietà pubblica, e tutto quello che li riguarda è regolato secondo norme stabilite dagli uomini secoli, se non millenni fa. L’aborto, per esempio: non sono state le donne a stabilire che interrompere una gravidanza era un peccato mortale, di fatto impedendo alle donne di controllare la loro libertà riproduttiva. Oppure le molestie e le violenze di ogni genere, che vengono nascoste per vergogna o perché pensi che nessuno ti crederà.

C’è qualcosa che per tempo, come donna, non sei riuscita a dire?

Sono una persona relativamente fortunata: bianca, cisgender, europea, ho ricevuto un’istruzione superiore, ho il privilegio di poter usare la mia voce in uno spazio pubblico. Ho detto tutto quello che sentivo di poter dire. Se qualcosa non l’ho detto, è perché non potevo: vale per tutte. Non ci teniamo i segreti perché siamo misteriose, ma perché mettendo sul piatto i costi e i benefici, spesso tacere è meno gravoso che parlare. Ripeto, sono stata fortunata, ma poteva andarmi molto peggio.

Parlando di discriminazioni e comportamenti sbagliati: quanto è complicato riconoscerli, ancor prima di trovare il coraggio di denunciarli?

Complicatissimo, sia che ci colpiscano direttamente sia che colpiscano altre persone. Siamo abituate a pensare che il mondo debba per forza funzionare in un certo modo, e che non ci siano altri modi di gestire la convivenza umana a tutti i livelli. Siamo anche abituate (e abituati: questo vale soprattutto per gli uomini) a pensare che il nostro sia uno sguardo in qualche modo “neutro” e privo di pregiudizi o parzialità. Non è così: la nostra esperienza non le esaurisce tutte, ed è importante ricordarci che il pezzo di mondo che vediamo non risponde allo stesso modo a tutte le persone, le identità e le abilità fisiche.

Guardando avanti: la Generazione Z potrebbe essere il vero e pratico cambiamento per le donne e le discriminazioni di genere?

Solo se si interviene in maniera massiccia nelle scuole fino da ora, con un’educazione alle relazioni, al sesso, all’emotività, alla condivisione. Probabilmente non sarà nemmeno la Generazione Z a fare la grossa rivoluzione, ma direttamente i loro fratelli e sorelle più piccoli e i loro discendenti. È un lavoro molto, molto lungo.

La parola femminismo quanto è attuale e quanto è attuabile alla realtà contemporanea?

Attuale lo è di sicuro, se ancora oggi esistono le discriminazioni sulla base del genere: ma i femminismi sono sempre stati luoghi di elaborazione intellettuale, oltre che di azione. Non è che il femminismo sia rimasto confinato ad alcune epoche, le pensatrici e le attiviste esistono in ogni epoca e si battono di volta in volta per cose diverse: nessuna conquista sul fronte dei diritti è stata ottenuta senza le donne, che sono sempre state in prima linea in quelle lotte. Dobbiamo uscire dall’idea del femminismo come una struttura fissa, rigida e legata a un periodo, e cominciare a integrare seriamente le pensatrici femministe nel dibattito collettivo e accademico, anche al di fuori degli studi di genere.

Quali sono le necessità “primarie” da raggiungere quanto prima?

Tutte. La teoria di Abraham Maslow per cui esiste una “piramide dei bisogni” che va dalle necessità di base a quelle spirituali è stata ampiamente screditata: anche le persone che versano in condizioni di povertà estrema hanno bisogno di filosofia, bellezza, spiritualità, affermazione di sé. Però è impossibile ragionare di priorità sulla base di quello che serve alle donne borghesi, che al massimo hanno bisogno di affermarsi nel mondo per le capacità che hanno, senza cambiare molto. Una persona che fugge da un conflitto, una che vive da straniera nel paese in cui è nata (come succede a moltissimi italiani) o una persona LGBTQ+ sono tutte soggettività che hanno necessità e priorità diverse, individuali e collettive. Bisogna lottare insieme per smantellare un sistema che vive di sfruttamento. Non esiste una battaglia che vada fatta prima delle altre, vanno fatte tutte contemporaneamente, da quella contro la povertà a quella per l’ambiente, la cittadinanza, la rappresentazione sociale.

Qual è un possibile obiettivo, per il mondo donna, da raggiungere nel 2022?

Non esiste un “mondo donna”, esiste il mondo, e le donne ci vivono dentro in modi molto diversi: fra me e Rihanna e Maria Elisabetta Alberti Casellati ci sono delle belle differenze in termini di come sperimentiamo la realtà. Bisogna ragionare in termini di azione e intervento sul mondo non “per le donne”, ma per tutte le soggettività oppresse. L’obiettivo è eliminare l’oppressione, non dispensare diritti a chi già ne ha.

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