Nella bozza della relazione le conclusioni sulla morte della 63enne di Trieste che si sarebbe soffocata con un sacchetto. Il decesso è avvenuto 2-3 giorni prima del ritrovamento
Liliana Resinovich è morta "due, massimo tre giorni prima" del suo ritrovamento avvenuto il 5 gennaio scorso nel parco dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste, un decesso per asfissia, una morte probabilmente volontaria. Sono le conclusioni - esclusiva Adnkronos - a cui sarebbero arrivati i consulenti della procura che indagano sulla 63enne scomparsa il 14 dicembre 2021 e ritrovata vestita, con il corpo in due sacchi della spazzatura, e con due buste di plastica (tipo quelle usate nei negozi di alimentari) intorno al capo; sacchetti legati, ma non stretti, con un nodo.
Un ritrovamento che a lungo ha fatto oscillare tra le ipotesi di omicidio o di suicidio. Ora però il caso sembrerebbe chiuso, dopo la bozza della relazione firmata dal professore di Medicina legale Fulvio Costantinides e dal medico radiologo Fabio Cavalli e inviata ai consulenti di parte per le loro osservazioni. Nella bozza della relazione di circa 50 pagine gli esperti, incaricati dal sostituto procuratore Maddalena Chergia, mettono nero su bianco i risultati dell’autopsia e degli esami tossicologici (viene esclusa l'assunzione di droga o farmaci) e le deduzioni che lasciano propendere per un gesto che non abbia coinvolto altre persone.
I sacchi integri che contenevano il corpo della vittima sono "poco compatibili" con un caso di aggressione e con il trasporto del corpo "in ambiente impervio", evidenza a cui va aggiunta l'assenza di "qualsivoglia segno ragionevolmente riportabile a violenza per mano altrui", la mancanza "di lesioni attribuibili a difesa" e di altre ferite che avrebbero potuto impedirle di reagire a un'aggressione.
Il fatto che i sacchetti non sono stati trovati stretti al collo "non esclude", a parere dei consulenti, "una morte per una possibile asfissia di questo tipo: se è vero infatti che basta l'inspirio per far aderire il sacchetto agli orifizi del volto cagionando deficit di ossigeno, tale aderenza può essere anche intermittente o addirittura non esserci essendo sufficiente per il soffocamento l'accumulo progressivo di anidride carbonica espirata ed il rapido consumo dell’ossigeno nel poco volume aereo offerto dal sacchetto". Una ipotesi di morte per asfissia da sacchetto appare dunque "plausibile" nel caso specifico, "in assenza di altri segni di asfissia meccanica violenta (strozzamento, strangolamento), non emergendo, inoltre, chiare evidenze oggettive omicidiarie, come pure ipotesi più rare e remote come l'abuso di solventi, le manovre legate ad erotismo con asfissia posta in essere a scopo sessuale".
In sostanza, "non emerge" a parere dei consulenti tecnici, "alcunché che concretamente supporti l'intervento di mano altrui nel determinismo del decesso" di Liliana Resinovich, la quale si era allontanata da casa senza cellulari e fede nuziale. Le conclusioni, a sette mesi dal giallo della morte, - anche se resta da capire cosa è successo dal giorno della scomparsa a quello della morte - sembrano risolutive: il decesso di Liliana Resinovich può farsi risalire "ragionevolmente a circa 2-3 giorni prima" del ritrovamento del corpo che "non presenta evidenti lesioni traumatiche possibili causa o concausa di morte, con assenza di solchi o emorragie al collo, con assenza di lesioni da difesa, con vesti del tutto integre e normoindossate, senza chiara evidenza di azione di terzi".
L'autopsia suggerisce "una morte asfittica tipo spazio confinato ('plastic bag suffocation'), senza importanti legature o emorragie presenti al collo" scrivono i consulenti. Parole che potrebbero indurre la procura di Trieste, una volta terminati tutti gli accertamenti, ad archiviare il caso.