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Lavoro: lo studio, italiani sognano di diventare imprenditori ma temono di fallire

Marco Ceresa
Marco Ceresa
26 aprile 2017 | 12.32
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Gli italiani sognano di mettersi in proprio e diventare imprenditori, ma sono frenati dalla paura di fallire, dalla mancanza delle garanzie del lavoro dipendente e dalla percezione di un sistema Paese che ostacola il fare impresa. Il 64% dei lavoratori dipendenti, infatti, vorrebbe avviare una propria attività ma rinuncia perché considera il rischio di fallire troppo elevato. E due terzi ritengono l’Italia non sia un luogo adatto a lanciare una startup e che lo Stato non le sostenga attivamente. A rivelare il clima di generale sfiducia attorno alle opportunità del lavoro autonomo in Italia è l’Entrepreneurship Outlook 2017 del Randstad Workmonitor, indagine trimestrale sul mondo del lavoro, condotta in 33 Paesi del mondo su un campione di 400 lavoratori dipendenti per ogni nazione di età compresa fra 18 e 67 anni.

“Gli italiani hanno da sempre una vocazione imprenditoriale, ma la percezione comune è che il rischio di impresa oggi sia un’avventura solitaria in un quadro ambientale avverso – commenta Marco Ceresa, Amministratore Delegato di Randstad Italia–. Dai risultati della ricerca, infatti, emerge come i lavoratori dipendenti non si sentano incoraggiati a mettersi in proprio, percependo incertezza, mancanza di sostegno, difficoltà a misurarsi con la globalizzazione se le dimensioni di impresa sono limitate. È necessario invertire rapidamente questa percezione, perché solo la nascita di startup e nuove imprese possono quel dinamismo all'economia e al mercato del lavoro necessarie per sostenere la ripresa. All'Italia le idee imprenditoriali e la capacità di innovazione non mancano. Servono incentivi fiscali per l'apertura di startup, semplificazione burocratica, più in generale una cultura 'amica' dell'impresa che infonda coraggio ai potenziali imprenditori”.

Nel dettaglio, secondo i risultati della ricerca, ben il 64% dei lavoratori dipendenti italiani oggi aprirebbe una sua impresa ma crede che sia troppo rischioso. Una percentuale superiore alla media globale (57%), che ci colloca al terzo posto in Europa tra i Paesi più timorosi, dopo Grecia e Spagna.

In generale, un italiano su due (il 49%) dichiara di aspirare a diventare imprenditore perché “questo gli darebbe migliori opportunità” rispetto a quelle del posto di lavoro attuale. Ma sono pochi quelli che ci stanno pensando seriamente. Infatti, soltanto il 31% dei dipendenti sta prendendo in considerazione l’ipotesi di lasciare il proprio lavoro per lanciarsi in un'attività in proprio (contro la media globale del 28%).

Un'ipotesi considerata più dagli uomini (33% contro il 28% delle donne) e dai giovani sotto i 45 anni (38% contro il 21% degli over 45). Il 52% dei lavoratori italiani avvierebbe una propria impresa solo se perdesse il posto di lavoro (a livello globale il 47%), un'opinione trasversale per genere (54% uomini e 51% donne) e fascia anagrafica (54% under 45 e 49% over 45).

Al di là delle differenze di età, genere e settore di provenienza, a scoraggiare maggiormente i potenziali imprenditori italiani è la percezione del contesto per la nuova attività. Due italiani su tre ritengono infatti che il sistema Paese in Italia sia più un ostacolo che un incentivo alla nuova impresa. In particolare, appena il 34% dei lavoratori Italiani è convinto che l’Italia sia un luogo adatto per avviare una startup, mentre a livello mondiale è il 56%. E soltanto il 32% crede che ilo Stato oggi sostenga attivamente le startup (nella media globale è il 50%).

La generale sfiducia nelle possibilità di successo si conferma anche nelle preferenze sulle dimensioni delle imprese in cui gli italiani vorrebbero lavorare (anche da dipendenti). Circa sei su dieci preferirebbero un’azienda multinazionale (60%, cinque punti in più della media globale) oppure una piccola o media azienda a gestione privata (62%, pari alla media globale), quasi allo stesso livello.

Mentre solo il 48% (una quota significativamente inferiore, 2 punti in meno della media globale) vorrebbe lavorare per una startup, che non assicura la stessa stabilità.

Secondo l’89% degli italiani, senza differenze rilevanti di genere ed età, la globalizzazione è la principale causa della maggiore fragilità delle piccole imprese rispetto alle grandi. Uno scarto di ben 14 punti rispetto alla media globale (75% del campione). In Europa, dove la media è pari al 74%, è evidente la spaccatura fra i Paesi del nord, che hanno una percezione del fenomeno più positiva, e le nazioni del sud, dove il timore degli effetti della globalizzazione è decisamente più marcato.

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