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Ia, De Ponte (Vub): "Ue indietro, mancano fondi e politica industriale"

Il ricercatore della Vub di Bruxelles spiega perché l'Europa sta perdendo la corsa nell'Intelligenza Artificiale con Usa e Cina. L'Unione si limita a regolamentare innovazioni tecnologiche inventate da altri, sprecando occasioni storiche, come accadde con Linux, base del sistema Android.

Ia, De Ponte (Vub):
08 febbraio 2025 | 14.03
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Se l'Unione Europea si limita a "regolamentare" l'utilizzo dell'Intelligenza artificiale, mentre altri, in particolare Usa e Cina, la inventano, è a causa della cronica mancanza di "massa critica" negli investimenti e dell'assenza di una "politica industriale" dedicata a questa tecnologia. Lo dice all'Adnkronos Fabio De Ponte, ricercatore sui modelli linguistici nel laboratorio di Intelligenza artificiale dell'Università Libera di Bruxelles (Vub) e all'università di Namur, in Vallonia, e membro del gruppo di ricerca Hermes.

Tre giorni fa, ricorda, la Commissione Europea ha annunciato "con grande entusiasmo il lancio di un progetto pionieristico per la prima famiglia europea di large language model, centrato sull'idea di costruire, per dirla in maniera molto semplice, sostanzialmente una ChatGpt europea, addestrata a partire dalle lingue europee. Quante risorse hanno destinato a questa iniziativa, che sarà condotta da un consorzio composto da una ventina di istituti di ricerca e università di tutta Europa? Cinquantasei milioni di euro. Noccioline per il settore. E' vero che l'idea è quella di sfruttare i supercomputer già a disposizione. Ma in Europa c'è un enorme problema di mancanza di risorse".

L'Unione Europea inoltre, sottolinea De Ponte, "non ha una politica industriale sull'intelligenza artificiale. Purtroppo ci limitiamo a regolamentare le invenzioni che hanno fatto gli altri". Si tratta, ricorda, di "una storia antica: già ai tempi di Mario Monti commissario europeo, sul fronte digitale l'Unione Europea si preoccupava per esempio di multare Windows, che distribuiva il browser insieme al sistema operativo abusando della sua posizione dominante, ma non del fatto che non esistesse un sistema operativo europeo". E oggi la Commissione interviene "per fare un'operazione che dovrebbe teoricamente permettere di dare vita al contraltare di OpenAi", stanziando appena 56 milioni di euro. "Per dare un'idea delle proporzioni, il primo investimento che Microsoft fece in OpenAi nel 2019 fu di un miliardo. Quando arrivò ChatGpt ne mise altri 10. Per quest'anno, pianifica di investirne 84, destinati a finanziare i data center".

In Europa, continua De Ponte, "c'è anche un problema di investimenti privati, perché, ovviamente, è un circolo vizioso. La nostra speranza al momento è Mistral, azienda fondata a Parigi da ex ingegneri di Google e Meta, che è riuscita a raccogliere poco meno di miliardo di euro in investimenti. Ma anche questo ha una storia antica, perché non è che in Europa non si inventi niente. Per dirne una, Linux è stato notoriamente creato da Linus Torvalds, un programmatore finlandese che diede vita al sistema operativo open source negli anni '90 all'Università di Helsinki. Ovviamente, dopo si è trasferito in California ed è diventata tutta una cosa californiana. Oggi quasi tutti abbiamo in tasca Linux, perché Android, che è montato sul 70% dei telefonini, non è altro che una versione modificata di Linux, che è stato inventato ad Helsinki".

L'altra grande questione, osserva il ricercatore della Vub, "è che gli americani gestiscono il finanziamento delle università a livello federale. Sono molto più centralisti. Noi invece finanziamo le università a livello nazionale, e solo per un decimo a livello europeo, con il risultato finale che ognuno va un po' per conto suo. E anche questo, alla fine, fa differenza".

Per De Ponte, si illude chi pensa che l'Ue possa saltare i passi intermedi per approfittare delle innovazioni sviluppate da altri, come si pensa spesso faccia la Cina. "Noi - dice - in Europa continuiamo a raccontarci che i cinesi sono indietro, che copiano un po' all'ultimo secondo e fanno delle cose che traballano. Ma non è così. La Cina lanciò già nel 2017 un ambizioso piano di investimenti sull'Ia per proiettarsi alla guida del settore entro il 2030. Da noi la questione era totalmente fuori dai radar".

"E adesso - prosegue il ricercatore - sta iniziando a raccogliere i frutti. Si vede sempre più chiaramente che l'innovazione si fa ormai anche in Cina. Non solo DeepSeek funziona piuttosto bene, ma è in buona compagnia, ci sono altri modelli come Qwen, per esempio, di Alibaba".

In Europa, osserva De Ponte, "si fanno delle ottime ricerche, però poi spesso bisogna trasferirsi negli Stati Uniti per farne dei veri prodotti industriali. Per dirne un'altra, uno dei modelli che sta attirando l'attenzione negli Usa è quello di Anthropic, azienda orientata allo sviluppo di sistemi di IA più trasparenti, come era nello spirito iniziale di OpenAI, guidato da Dario e Daniela Amodei, italiani ma con studi ed esperienze negli Usa. Da noi non c'è proprio la massa critica per fare queste cose".

E aggiunge: "Non è che ci mancherebbe lo stimolo sul fronte dei modelli linguistici. Qual è il problema numero uno in Europa? Perché non abbiamo ancora uno Stato federale come gli americani? Perché nell'Ue si parlano 24 lingue diverse e, quindi, non c'è uno spazio politico-culturale, come quello che hanno gli americani e, di seguito, è difficile costruire tutto il resto. Con le tecnologie attuali, si potrebbero sviluppare dei traduttori universali in tempo reale, multimodali, con le immagini, lo speech, eccetera: questo potrebbe effettivamente rappresentare un grosso salto in avanti" per l'Ue. "Potrebbe - nota - essere l'occasione per lanciare un grande piano europeo. Basterebbero 10 miliardi per fare una enorme operazione di rilancio. industriale e culturale allo stesso tempo". Eppure, "le priorità sembrano essere decisamente altre", conclude.

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