Solidarietà tra l'amante e la vittima: "Se hai problemi, stai da me"
Alessandro Impagnatiello, fermato per l'omicidio di Giulia Tramontano, la compagna incinta, aveva anche falsificato un test del Dna per dimostrare alla collega con cui aveva una storia che il figlio che portava in grembo la fidanzata non era suo. L'altra donna, italo-inglese che lavorava con lui all'Armani Bamboo bar, però, aveva scoperto la falsificazione. Da lì il chiarimento tra le due donne, avvenuto sabato pomeriggio nel locale milanese, senza che il 30enne fosse presente. La collega, a cui Impagnatiello era sentimentalmente legato da un anno, preoccupata per Giulia le avrebbe anche offerto ospitalità. "Se hai problemi - le avrebbe detto - puoi venire a stare da me".
La 29enne incinta, però, è rientrata a casa, a Senago, dove l'aspettava il compagno che, a quanto emerge, dopo due anni e mezzo voleva interrompere la relazione con lei. Lo ha fatto, alla fine, uccidendola nel loro appartamento, tra le 19 e le 20.30 di sabato sera. Il barman avrebbe anche raccontato che a estrarre per prima il coltello, forse per farsi male, sarebbe stata la 29enne incinta. Potrebbe trattarsi, però, di una delle menzogne raccontate da Impagnatiello. L'uomo, dopo aver ucciso la compagna, avrebbe anche mandato messaggi dal numero di cellulare di lei, per rassicurare chi era preoccupato.
Tra loro anche alla collega italo-inglese, che durante tutta la serata ha scritto a Giulia per avere sue notizie. "Lasciami in pace, ti ho mentito" la risposta giuntale in serata dal telefono della 29enne, ma scritta dal compagno che l'aveva ormai uccisa.
"Con Giulia siamo rimaste a parlare fino alle 18.45 circa, così entrambe ci siamo confidate e abbiamo convenuto che Alessandro ci avesse mentito, a entrambe" ha detto la 23enne con la quale aveva una relazione Alessandro Impagnatiello. “Giulia mi diceva che avrebbe fatto rientro a casa di Alessandro, dove mi ha detto di vivere stabilmente. Poi ci siamo sentite a mezzo chat di WhatsApp e a mio avviso mi stava scrivendo in maniera diversa in precedenza da quanto aveva fatto” ha raccontato la 23enne ai carabinieri, ricostruendo l’incontro avuto con Giulia dopo che entrambe avevano scoperto della vita parallela di Impagnatiello.
“Fino a prima di vederci e quando ci siamo incontrate” sabato attorno alle 17 all’Armani Hotel "Giulia era convinta di voler parlare tutti e tre insieme e di trovare una spiegazione mentre nei messaggi ricevuti tra le 20.30 e le 21.50 mi scriveva che lei non era stata sincera con me e di lasciarla in pace e che voleva tornarsene a casa (penso intendesse casa sua a Napoli). Dopodiché Giulia non mi ha risposto più a nessun messaggio in chat”. A quel punto, “ho provato a contattarla telefonicamente, alle 21.49 ma non ho ricevuto alcuna risposta, in quanto mi rispondeva la segreteria telefonica”.
Nel frattempo la 23enne scrive a Impagnatiello per chiedere notizie di Giulia. “Lui mi scriveva che stava dormendo, chiedendomi di incontrarmi. Poi solo alle 23.29, dopo due tentativi di videochiamate, sono riuscita a mettermi in contatto con Alessandro e in quelle circostanze si è mostrato seduto nel suo balcone di casa e io gli ho chiesto nuovamente, dove fosse Giulia, sia perché non mi rispondeva più sia perché ero preoccupata visti gli ultimi messaggi che mi aveva mandato”.
Dopo l’incontro con Giulia Tramontano, la 29enne incinta uccisa a Senago, la 23enne ha provato a contattarlo dopo essersi resa conto che il cellulare di Giulia era staccato. Insospettita, la ragazza, stando a quanto messo a verbale, chiede ad Alessandro, dove sia Giulia e lui le risponde che “Giulia sta dormendo a casa di un’amica”.
La 23enne gli chiede quindi di dimostrarglielo con il cellulare ma lui inquadra solo la camera e il soggiorno dove Giulia effettivamente non c’è. “Alle due del mattino - racconta la 23enne - nel rincasare ho notato sotto casa la presenza di Alessandro il quale ha continuato ad inviarmi sms su chat e chiamate con l'intento di volermi parlare per almeno 5 minuti. Data la sua insistenza, gli ho parlato dalla finestra del ballatoio, e lui mi ha detto di avermi aspettato per più di un'ora e che Giulia era una persona bipolare e che il figlio che lei aspetta non era il suo”.
La giovane, non credendogli, lo invita ad andarsene. Successivamente, dopo il lavoro la 23enne lo incontra. “Mi sembrava ‘strano’ e continuava a giustificare la situazione arrampicandosi sugli ‘specchi’”. È in quel momento che la 23enne nota spuntare dallo zaino del lavoro di Alessandro “dei guanti in lattice di colore azzurro”.
La 23enne cerca quindi di contattare la sorella di Giulia chiedendo a Impagnatiello il suo numero ma lui glielo nega. A quel punto lei decide di rintracciarla comunque sui social. Chiara, la sorella di Giulia, le dice che non è una ragazza bipolare e che non mai sofferto di malattie mentali e che anche lei e i suoi familiari sono “preoccupati” per la sua scomparsa.
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“Rimuovere macchie di sangue” e “invio programmato di WhatsApp”, “e-mail orario programmato”. Sono queste alcune delle ricerche effettuate online da Alessandro Impagnatiello, dopo l’omicidio della compagna, Giulia Tramontano. Elementi che – sottolinea il decreto di fermo firmato dall’aggiunto Letizia Mannella e dalla pm Alessia Menegazzo, di cui l'Adnkronos è in possesso - evidenziano un “concreto e attuale pericolo che l’indagato possa inquinare le fonti di prova”. Per gli inquirenti il 30enne avrebbe “cercato, sempre tramite ricerche web e poco dopo aver commesso il delitto, modalità di programmazione dell'invio dei messaggi WhatsApp ed e-mail, al chiaro fine di alterare la ricostruzione cronologica della vicenda”.
Non solo, dalle indagini è emerso anche come Impagnatiello “si sia dimostrato capace di falsificare un certificato di paternità” per convincere l’altra donna con cui intratteneva una relazione di non essere il padre del bambino che Giulia Tramontano portava in grembo.
"Non ci troviamo purtroppo a fare il punto soltanto su un omicidio”. Impagnatiello "non è soltanto un assassino, ma un assassino che ha ucciso la persona che dichiarava di amare e che portava in grembo il figlio che stava per nascere" ha detto il comandante provinciale dei carabinieri di Milano, Iacopo Mannucci Benincasa, durante la conferenza stampa convocata in procura a seguito del ritrovamento del corpo della 29enne e del fermo del suo compagno per omicidio premeditato. "Un figlio - ha osservato il comandante - che la legge ancora non riconosceva come tale, e quindi l'omicidio è della donna, ma in realtà si tratta di un feto che forse con un parto cesareo sarebbe potuto nascere già di per sé". Impagnatiello "non solo non ha esitato a uccidere, come la ricostruzione e le indagini dimostrano, ma si è accanito su questo corpo, tentando di disfarsene, dandogli fuoco. Io credo che non si possa parlare soltanto di un assassino", ha poi ribadito il comandante.
“È come se stesse pian piano uscendo da un'allucinazione, da una situazione di cui ha iniziato probabilmente a rendersi conto ieri sera” ha detto il legale dell'uomo, l'avvocato Sebastiano Sartori. Il legale di fiducia, nominato nei giorni scorsi, quando Impagnatiello non era ancora indagato per l'omicidio, è in contatto con la mamma e il fratello del 30enne. I familiari - racconta l'avvocato - hanno subito uno “choc enorme, sono distrutti”.
“Ho visto loro due qua fuori, la macchina era parcheggiata sul passo carraio, con la porta aperta e lui cercava di calmarla e le diceva ‘calmati, parliamo’, era la prima volta che li vedevo insieme” ha detto ai cronisti Ahmed, il titolare della panetteria a pochi passi dall’abitazione dell'amante italo-inglese. Ahmed spiega di aver assistito a una lite tra la 23enne e Impagnatiello nella notte tra venerdì e sabato scorso.
“La macchina era bianca - ha detto l’uomo - erano più o meno le due della notte e tutto è durato almeno un'ora. Dopo lei è rientrata in casa e quando mi hanno visto hanno cercato di abbassare i toni della voce. Lei era abbastanza arrabbiata, lui voleva chiamarla. Lui le ha detto ‘io ti voglio bene, ti amo’, ma lei non ha risposto”.