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Via d'Amelio, Ingroia: "Strage di Stato, verità insabbiata per anni"

L'ex pm antimafia dopo la sentenza di secondo grado del Borsellino quater: "Gravissimo depistaggio sin da prime battute indagini. Ora Procura vada avanti"

Immagine di repertorio - (Fotogramma)
Immagine di repertorio - (Fotogramma)
16 novembre 2019 | 15.58
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(di Rossana Lo Castro) - Una "strage di Stato" a cui seguì "un gravissimo depistaggio", messo in atto "sin dalle battute iniziali delle indagini" e con "un incredibile dispiegamento di uomini e mezzi" e con un solo obiettivo: "Lo Stato aveva la necessità di coprire se stesso". A distanza di 27 anni dall'eccidio di via d'Amelio in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino, e i cinque agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, eccola la "sola certezza che abbiamo" per l'ex magistrato antimafia di Palermo e oggi avvocato Antonio Ingroia. All'indomani della sentenza di secondo grado del Borsellino quater, emessa dalla Corte d'assise d'appello di Caltanissetta, l'ex pm che ha avviato l'inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia prima di lasciare la toga, sottolinea l'importanza di quel pronunciamento.

"E' un altro passo importante verso l'accertamento della verità - dice all'Adnkronos -, una verità che arriva lenta e tardivamente perché lo Stato, con l'eccezione di pochi magistrati, ha fatto di più per insabbiare, deviare e nascondere la verità che per affermarla". A distanza di più di un quarto di secolo, però, Ingroia si dice "fiducioso" sulla possibilità di arrivare alla verità. "Nonostante tutti i depistaggi, i freni, le prudenze, le pigrizie la verità ha una forza tale che alla fine prevale", dice. Resta, comunque, un'amara certezza. "Lo Stato italiano ha depistato, in modo massiccio e senza risparmiare uomini e mezzi, le indagini su uno dei suoi più fedeli servitori, mettendo in atto un tradimento che può avere solo una spiegazione: coprire se stesso".

Dunque, un depistaggio di Stato per una strage di Stato. Fatti su cui la Procura di Caltanissetta indaga. "C'è un processo in corso nei confronti di alcuni poliziotti, ma non credo che i veri artefici del depistaggio siano sul banco degli imputati e non penso neppure che siano tutti morti", dice adesso Ingroia, per il quale, però, oggi più che mai è necessario proseguire con le indagini. "Indagini delicate e difficili - ammette -, ma non si può non chiedere alla Procura di Caltanissetta di andare avanti e di farlo con ancora maggiore energia e, se possibile, con maggiore celerità perché abbiamo atteso troppo che venisse fuori la verità". I giudici della Corte d'assise d'appello di Caltanissetta hanno confermato ieri le condanne emesse in primo grado e la prescrizione per Vincenzo Scarantino.

"Alla Procura di Palermo al pentimento di Scarantino non credette nessuno - ricorda oggi l'ex pm -. Le sue dichiarazioni vennero subito ignorate nonostante cercasse di accreditarsi. Lo so bene perché nel pieno del processo Contrada e a inizio delle indagini su Dell'Utri e Berlusconi Scarantino fornì degli spunti apparentemente appetibili, parlava di coinvolgimenti di Contrada e Berlusconi in traffici di stupefacenti. Erano dichiarazioni totalmente non riscontrate, non c'erano elementi per essere certi che fossero intenzionalmente depistanti e noi le archiviammo". Per "rispetto del lavoro che stava facendo Caltanissetta", che su Scarantino e la sua collaborazione aveva puntato, "la Procura di Palermo non si mise di traverso. Se fosse stata utilizzata la stessa professionalità e lo stesso rigore Scarantino non sarebbe mai diventato un collaboratore di giustizia".

La sentenza della Corte d'assise d'appello di Caltanissetta con la conferma del depistaggio sull'eccidio di 27 anni fa, però, secondo Ingroia è "un'ulteriore sconfitta" per lo Stato. "La prima si è realizzata quando è stato ucciso Paolo Borsellino e gli agenti della scorta, lasciati esposti al tritolo degli assassini. A quella prima sconfitta ne sono seguite tante altre, ma questa sentenza, al tempo stesso, dice anche che lo Stato, sia pur con enorme ritardo, ha il coraggio di processare se stesso. La storia dell'Italia, che si ripete spesso uguale a se stessa, è una storia di mezze verità. Nei delitti di Stato, in quelli politico-mafiosi come quello di Borsellino, nella migliore delle ipotesi si individuano gli esecutori materiali e, al massimo, gli organizzatori, ma mai i mandanti".

E la storia si sta ripentendo. "Nel caso della strage di via d'Amelio temo che non saranno individuati neanche tutti gli esecutori e neppure tutti gli organizzatori - conclude l'ex magistrato antimafia -. Il famoso uomo, probabilmente anche lui di Stato, che Spatuzza vide armeggiare intorno all'autobomba nei giorni in cui si preparava l'esplosivo, è uno degli esecutori e organizzatori dell'attentato che fino a oggi l'ha fatta franca e, temo, che la Procura di Caltanissetta sia molto lontana dalla verità su questo aspetto".

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