Secondo la Suprema Corte che si è pronunciata sul caso Bernaroli è "illegittima l'annotazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Non si tratta di estendere il modello di unione matrimoniale alle coppie gay, tuttavia è necessario garantire i diritti". La transessuale: "Contentissima, ora matrimoni gay". L'esponente Ncd a sorpresa: "Ho condiviso la scelta"
Alessandro divenne Alessandra. Un cambio di sesso che però non cancellerà in alcun modo diritti e doveri nati dal matrimonio celebrato a Bologna nel 2005 quando erano una coppia formata da un uomo e da una donna. Lo ha sancito oggi la Cassazione intervenendo sul noto caso Bernaroli. In particolare, la Prima sezione civile presieduta da Maria Gabriella Luccioli, accogliendo il ricorso di Alessandra Bernaroli e della compagna Alessandra, ha dichiarato "illegittima l'annotazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio apposta a margine dell'atto di matrimonio delle ricorrenti e le successive annotazioni", disponendone "la cancellazione".
Sulla vicenda, sulla quale è intervenuta anche la Corte Costituzionale, la Suprema Corte ha precisato che "fermo l'assunto secondo il quale la Corte non immette direttamente nell'ordinamento (come per le sentenze manipolative in senso stretto) una concreta regola positiva, non intendendo invadere la competenza legislativa del Parlamento, non è seriamente contestabile che il principio della necessità immediata e senza soluzione di continuità di uno statuto sostanzialmente equiparabile, sul piano dei diritti e doveri di assistenza economico patrimoniale e morale reciproci, a quello derivante dal vincolo matrimoniale per le coppie già coniugate che si vengano a trovare nella peculiare condizione delle ricorrenti abbia natura imperativa e debba essere applicato con l'efficacia stabilita dall'art. 136 della Costituzione".
La Cassazione è partita dalla decisione della Consulta dell'11 giugno 2014 che aveva stabilito che la norma che prevede l’annullamento del matrimonio (legge 164 del 1982 che contiene le norme in materia di cambio di sesso e che fa scattare il cosiddetto 'divorzio imposto') nel caso in cui uno dei due coniugi cambi sesso è incostituzionale, perché non prevede per la coppia che voglia continuare una vita assieme un'altra forma di convivenza giuridicamente regolata, un’unione alternativa a cui deve prevedere il legislatore.
Una porta spalancata a favore delle unioni civili sulla quale oggi è intervenuta nuovamente la Cassazione (è la seconda volta che si pronuncia sulla vicenda, la prima volta è accaduto nel 2012), invitando il Parlamento a legiferare.
La Suprema Corte, nelle motivazioni 8097 redatte da Maria Acierno, ha ricordato che "un sistema legislativo che consenta soltanto alle coppie eterosessuali di unirsi in matrimonio può legittimamente escludere che si possano mantenere unioni coniugali divenute a causa della rettificazione del sesso di uno dei componenti non più fondate sul predetto paradigma".
Detto questo, la Suprema Corte ha messo nero su bianco che "ciò che non può essere costituzionalmente tollerato, in virtù della protezione costituzionale di cui godono le unioni tra persone dello stesso sesso, è che per effetto del sopravvenuto non mantenimento del modello matrimoniale tali unioni possano essere private del nucleo di diritti fondamentali e doveri solidali propri delle relazioni affettive sulle quali si fondano le principali scelte di vita e si forma la personalità sul piano soggettivo e relazionale".
Da qui la decisione di piazza Cavour di ritenere "autoapplicativa e non meramente dichiarativa" la pronuncia. La Cassazione ha chiarito a più riprese nella sentenza che non si tratta di estendere il modello di unione matrimoniale alle coppie gay, tuttavia è necessario garantire i diritti. "Tale opzione ermeneutica - si legge nelle motivazioni - è costituzionalmente obbligata e non determina l'estensione del modello di unione matrimoniale alle unioni omoaffettive, svolgendo esclusivamente la funzione temporalmente definita e non eludibile di non creare quella condizione di massima indeterminatezza stigmatizzata dalla Corte Costituzionale in relazione ad un nucleo affettivo e familiare che, avendo goduto dello statuto matrimoniale, si trova invece in una condizione di assenza radicale di tutela".