
Le elezioni del 23 febbraio hanno delineato un nuovo quadro politico in Germania. Solo cinque partiti hanno superato la soglia del 5%, con i liberali di Fdp (Freie Demokratische Partei - Partito Democratico Libero) e i ‘rossobruni’ di Sahra Wagenknecht (Bsw) rimasti fuori dal Bundestag. L’alleanza Cdu/Csu è risultata il primo partito con il 28,6 per cento dei voti ed esprimerà il cancelliere, Friedrich Merz. Si lavora alla costruzione di una grande coalizione con la Spd, il partito socialdemocratico che si è fermato al 16,4%, peggior risultato dal 1887. All’opposizione ci saranno Afd, il partito dell’ultradestra che ha raggiunto il 20,8% raddoppiando i consensi rispetto alla tornata del 2021, i Verdi che si sono fermati all'11,6 per cento e la sinistra di Die Linke, all’8,7%.
A partire da lunedì 3 marzo, sei rappresentanti – tre della CDU e tre della SPD – inizieranno a lavorare sul cosiddetto "contratto di governo", il documento che definirà le basi della loro collaborazione. I principali nodi da sciogliere riguardano due temi centrali. Da un lato, la CDU insisterà sulla sua linea economica liberale, puntando su tagli fiscali, riduzione del welfare e meno regole per le imprese. Dall’altro, la SPD cercherà di difendere le misure sociali, come il salario minimo e le pensioni. Un altro punto di confronto sarà la questione migratoria: sebbene la SPD abbia adottato una posizione rigida, non accetterà soluzioni che violino le normative europee o prevedano la chiusura totale delle frontiere. Nel frattempo, Merz ha avanzato la proposta di aumentare le spese militari fino a 200 miliardi di euro, aprendo un ulteriore fronte di discussione all'interno della futura coalizione. Per fare questo il Cancelliere in pectore ha annunciato l’intenzione di riformare la Costituzione con l’obiettivo di consentire l’indebitamento per le spese in difesa. Si tratta di un cambiamento radicale rispetto al tradizionale rigore dei conservatori tedeschi e che vede i due principali partiti della coalizione mettere una pietra tombale sull’ortodossia del pareggio di bilancio e sul freno del debito, che proprio loro avevano inserito in Costituzione 16 anni fa. Parlando alla stampa accanto a Markus Söder (il capo della Csu bavarese) e ai co-leader socialdemocratici, Lars Klingbeil e Saskia Esken, il segretario della Cdu ha annunciato che verrà presentata al Bundestag una mozione per modificare il freno del debito, ovvero il meccanismo costituzionale che impedisce ai governi tedeschi di indebitarsi oltre allo 0,35 per cento del Pil e che impone di fatto la disciplina ferrea del pareggio di bilancio. “Siamo consapevoli della portata dei compiti che ci attendono e vogliamo compiere i primi passi e prendere le prime decisioni necessarie”, ha dichiarato Merz, aggiungendo che “data la minaccia alla nostra libertà e alla pace nel nostro continente, il mantra della nostra difesa deve essere: costi quel che costi”, citando il celebre ‘whatever it takes‘ pronunciato dall’allora numero uno della Bce, Mario Draghi, nell’ora più buia della crisi dell’euro.
Il voto in Germania è stato vissuto con grande attenzione anche nel resto d’Europa. La vittoria di un partito moderato e saldamente europeista come la Cdu, insieme a una prospettiva favorevole alla governabilità, sono elementi che fanno prevedere il ritorno della Germania in un ruolo di primo piano in Europa. “Ci sarà una maggioranza chiara, pro-Europa, pro-Nato e atlantista. Sarà possibile formare un governo stabile. Penso che la Germania continuerà a svolgere un ruolo forte per un’Europa più unita e resiliente in questi tempi difficili”, è stata la sintesi a caldo dell’ambasciatore tedesco in Italia, Hans-Dieter Lucas.
Il voto tedesco può avere conseguenze indirette anche negli equilibri interni al centrodestra e al centrosinistra, in Italia. Si rafforza la posizione di Forza Italia, storico alleato della Cdu con cui condivide la militanza nel Ppe, si polarizza ancora di più la posizione della Lega, che ha esplicitamente sostenuto AFD e che, insieme a qualcuno anche all’interno di FDI, consiglia a Fredrick Merz di rompere il tradizionale Brandmauer, il cordone sanitario che in Germania esclude dai governi le forze estremiste. Il pessimo risultato della Spd, insieme all’ottima performance di Die Linke, interrogano nell’altro campo il Pd. I democratici italiani, guidati da Elly Schlein, sono per storia omologabili alle socialdemocrazie europee ma hanno anche l’ambizione di intercettare le spinte che da sinistra arrivano da giovani e movimenti. L’equilibrio tra le due istanze non è facilissimo da perseguire.