Il Rapporto Onu di quest’anno conferma i Paesi scandinavi come i più felici del mondo. Diversi i motivi: supporto sociale, reddito, libertà e assenza di corruzione. E l’Italia?
Cos’è che ci rende felici? Una domanda che l’umanità si è sempre posta e a cui molti filosofi, fin dai tempi di Seneca e Confucio, hanno tentato di rispondere. Ma negli ultimi anni c’è qualcosa di nuovo: si è pensato che la felicità si possa misurare, e quindi in qualche modo anche definire. È infatti da più di 10 anni che l’Onu realizza il World Happiness Report, che traduce in numeri e grafici il livello di soddisfazione di 137 Paesi del Mondo. L’obiettivo non è solo ‘filosofico’, per così dire, ma anche molto pratico e politico: orientare e aiutare l’azione dei governi a realizzare il massimo benessere possibile dei loro cittadini.
E se è vero che alla fine l’essere umano è tale a ogni latitudine, è anche vero che le differenze culturali e di civiltà hanno portato ad approcci diversi sui temi esistenziali e nella gestione della cosa pubblica. Il Buthan, per esempio, già dal 1972 ha deciso di sostituire il Pil, il Prodotto Interno Lordo con cui siamo abituati a calcolare la ricchezza di un Paese, con il Fil, la Felicità Interna Lorda, che mira a stabilire uno standard di vita e considera come criteri la qualità dell'aria, la salute dei cittadini, l’istruzione e la ricchezza dei rapporti sociali. Risultato: il Buthan è uno dei Paesi più poveri dell’Asia ma anche uno dei più felici del continente, un’evidenza che spinge a chiedersi se i soldi facciano o meno la felicità.
Cercando di capirci di più, andiamo a vedere cosa dice il World Happiness Report, che ovviamente stila anche una classifica di quelli che sono i Paesi più felici del mondo, in base alle medie delle risposte date dal 2020 al 2022 dagli intervistati, i quali hanno attribuito un voto da 1 a 10 alla soddisfazione della propria vita. Il Report prende questa soddisfazione come ‘standard del benessere’.
I primi dieci paesi sono: Finlandia (per il sesto anno consecutivo), Danimarca, Svizzera, Islanda, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia, Nuova Zelanda, Austria e Canada. Tutti Stati che riescono a mantenere alti livelli di benessere soggettivo, e che non hanno perso questa capacità nemmeno durante la pandemia. Il Rapporto di quest'anno si è infatti concentrato sugli effetti della crisi sanitaria e su come i governi e le società hanno risposto alla sfida, ottenendo risultati sorprendenti.
La Lituania è l’unica nuova entrata nei primi 20, guadagnando ben 30 posti dal 2017, mentre i Paesi meno felici sono Afghanistan, Libano, Sierra Leone, Zimbabwe, Repubblica democratica del Congo e Botswana. L’Ucraina, nonostante la guerra, è 92ma, grazie soprattutto alla solidarietà sociale e alla capacità tutta umana di fare fronte comune alle avversità.
L’Italia, forse non è una vera sorpresa, non si colloca benissimo nella classifica dei Paesi più felici al mondo. Il Bel Paese infatti è 33mo e, se superficialmente potrebbe sembrare un piazzamento non male, su 137 Stati analizzati, guardando meglio è un risultato decisamente non esaltante. Intanto perché abbiamo perso due posizioni dal 2020.
E poi perché con un ‘punteggio felicità’ pari a 6,4, non di moltissimo sopra la sufficienza, l’Italia si inserisce in classifica dopo la Spagna e prima del Kosovo, superata dai ‘soliti’ Paesi scandinavi ma anche da Germania (16ma con un punteggio felicità di 6,89), Gran Bretagna (19ma con un punteggio felicità di 6,79) e Francia (21ma, con un punteggio felicità di 6,66). Sopra di noi anche Costa Rica (23ma, con un punteggio felicità di 6,6) e Romania (24ma, con un punteggio felicità di 6,58).
Il Rapporto esplora sei diversi aspetti che spiegano le variazioni nei livelli di felicità percepito: supporto sociale, reddito, salute, libertà, generosità e assenza di corruzione.
In generale, emerge che i Paesi che hanno livelli più alti di fiducia nelle istituzioni e negli altri cittadini, di sostegno istituzionale e sociale, di qualità della governance e dei servizi pubblici, di libertà individuale, di rispetto dei diritti umani e di qualità ambientale sono più felici e hanno resistito meglio alla crisi pandemica rispetto ai Paesi con livelli più bassi di questi fattori.
Conta l’etica di un Paese, ovvero se le persone sono generose e solidali le une con le altre. Contano anche le istituzioni, ovvero se sono affidabili e offrono servizi adeguati ai cittadini, che quindi sono liberi di prendere le proprie decisioni. Contano anche reddito e salute, perché, come si suol dire, se i soldi non fanno la felicità figuriamoci la miseria, e soprattutto quando c’è la salute c’è tutto.
Dal Report emerge inoltre che una società in cui cittadini sono più virtuosi è anche più felice, dimostrando che il benessere di ognuno di noi è legato a quello degli altri. Non solo: lo sviluppo di comportamenti virtuosi da parte dei cittadini è favorito e incentivato da un ambiente sociale e istituzionale altrettanto virtuoso, ma allo stesso tempo cittadini virtuosi realizzano un ambiente sociale e istituzionale più soddisfacente, creando una spirale benefica.
Infine, uno degli elementi sorprendenti messi in luce dal World Happiness Report 2023 è che la pandemia ha portato dolore e sofferenza ma anche un aumento del sostegno sociale e della benevolenza, sottolineando così la capacità degli esseri umani di aiutarsi e sostenersi nei momenti di grave difficoltà. Un aspetto che ha contribuito alla resilienza delle persone e dei diversi Paesi di fronte all’emergenza sanitaria. Inoltre, l’esperienza col Covid è servita a molte persone per riflettere sull’importanza delle cose semplici, spesso date per scontate, e ha portato a una maggiore gratitudine. In questo contesto, la salute mentale sta assumendo sempre maggiore rilevanza, andandosi ad affiancare agli altri come fattore rilevante per la soddisfazione di vita.
In conclusione, il World Happiness Report 2023 evidenzia l'importanza di coltivare relazioni positive con gli altri esseri umani e con il pianeta che condividiamo, partendo da una riflessione su cosa conta davvero per noi come individui e come società. La felicità quindi è un obiettivo, uno stato esistenziale che passa per l’individuo ma che non può prescindere dal benessere collettivo e dalla condivisione.