
E' quanto fotografato da un’indagine sul gender pay gap della tech company Fiscozen
Gli uomini in partita iva guadagnano mediamente il 18,3% in più delle donne, cioè 3.343 euro l’anno. Un gap che si presenta già dai primi passi nel mondo del lavoro autonomo e cresce con l’età: tra i 18 e i 24 anni, infatti, è del 7,4%, cresce poi al 20,6% tra i 25 e i 35 anni, periodo durante il quale molte donne diventano madri, e arriva al 28,5% tra i 55 e i 65 anni. In quest'ultima fascia, gli uomini guadagnano in media 5.886 euro in più. Guida la classifica della disparità retributiva il settore manifatturiero, ci si avvicina invece alla parità nel mondo dell’istruzione, mentre i servizi di alloggio e ristorazione vedono le donne guadagnare il 26,2% in più dei colleghi. E' quanto fotografato da un’indagine sul gender pay gap della tech company Fiscozen, prendendo in esame i dati aggregati di oltre 30.000 partite iva attive nel 2024.
Analizzando le attività, suddivise per codice Ateco, la disparità più ampia è nel settore manifatturiero, con un considerevole gap del 91,4% (27.939 euro degli uomini contro i 14.643 delle donne), seguito da un più moderato divario del 27,3% nel mondo dell’informazione e della comunicazione (31.937 euro degli uomini contro i 25.080 delle donne) e dal 26,5% della categoria altri servizi, che comprende una vasta gamma di figure professionali eterogenee tra cui, ad esempio: stylist, caregiver, pedagogisti, massaggiatori, personal trainer, oss, cuochi a domicilio, sommelier e persino gamer di e-sport.
Per quanto riguarda i settori con la maggiore concentrazione di partite iva, le attività legate ad un albo professionale e quelle scientifiche o tecniche presentano un gap di fatturato medio pari a 11,7% (21.045 euro degli uomini contro i 18.830 delle donne), quelle legate alla sanità e all’assistenza sociale vedono gli uomini guadagnare il 17,6% in più (25.496 contro 21.665), mentre è del 15,8% il gap nel campo delle attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento, con gli uomini che fatturano 15.673 euro a fronte dei 13.531 delle donne. La parità è avvicinata solamente nel mondo dell’istruzione, dove il divario è del 4,5%.
Sono, invece, tre i settori in cui le libere professioniste guadagnano più dei colleghi uomini: servizi di alloggio e ristorazione, con +9.857 euro annui e un fatturato medio di 37.589 euro, ovvero +26,2%; attività legate al noleggio e ai viaggi, con +1.480 euro annui e un fatturato di 15.926 euro (+9,2%); le attività immobiliari, con +1.679 euro e un fatturato di 23.418 euro (+7,1%). Più in generale, i settori in cui si registrano i fatturati medi più alti per le donne, dopo i servizi di alloggio e ristorazione e quelli legati a informazione e comunicazione, sono l’immobiliare (23.418), sanità e assistenza sociale (21.665) e commercio (20.306).
“Nei cinque anni tra il 2020 e il 2024, il gender pay gap in Partita Iva è diminuito progressivamente, dato che nell’anno della pandemia era di oltre il 10% più alto. Tuttavia, i dati che abbiamo modo di analizzare, anche se non prendono in considerazione altre forme reddito, ci dicono senza mezzi termini che c’è ancora molta strada da fare nel mondo della libera professione per avvicinarci sempre più alla parità tra donne e uomini, soprattutto se si compara con il gap nel lavoro dipendente, decisamente più basso”, commenta Enrico Mattiazzi, ceo e co-founder di Fiscozen.
Nel 2022, secondo i dati Istat, il gender pay gap tra i lavoratori dipendenti in Italia era del 5,6% a favore degli uomini, con una retribuzione media annua di 39.982 euro per gli uomini e 33.807 euro per le donne, con una differenza di circa 6.000 euro. Nel settore privato, la disparità retributiva raggiungeva il 15,9%, mentre nelle società pubbliche si fermava al 5,2%. In confronto, tra i lavoratori con Partita Iva, il divario di genere appare ancora più marcato: il fatturato medio annuo degli uomini era di 21.622 euro, mentre quello delle donne risultava inferiore del 15,5%, fermandosi a 18.279 euro.
Le disparità di genere nel mondo del lavoro si riflettono anche sulle pensioni. Secondo il Rendiconto di genere 2024 dell’Inps, le donne pensionate sono più numerose degli uomini (7,9 milioni contro 7,3), ma ricevono assegni mediamente più bassi. Nel settore privato, le pensioni di anzianità e di invalidità delle donne sono rispettivamente più basse del 25,5% e del 32% rispetto a quelle degli uomini. Il divario è ancora più ampio per le pensioni di vecchiaia, che risultano inferiori del 44,1%. Per le ex lavoratrici autonome, la situazione è ancora più svantaggiosa: le pensioni di anzianità e di invalidità sono rispettivamente più basse del 43,9% e del 36,1%, mentre quelle di vecchiaia registrano un gap del 38,2% rispetto agli uomini.
"Questo divario pensionistico riflette le minori opportunità di guadagno che le donne incontrano nel corso della loro carriera. Per molte giovani, aprire la partita iva significa investire sul proprio talento e sulla propria indipendenza, nonostante retribuzioni inferiori e minori tutele rispetto al lavoro dipendente. Per una generazione che considera autonomia e flessibilità valori essenziali, lavorare con la partita iva è una scelta naturale: renderla più sostenibile permetterebbe di valorizzare appieno questa opportunità", conclude Mattiazzi.